Femminilizzazione esterna

Mi è rimasta in testa la questione della femminilizzazione “esterna”.

Verso la fine dello scorso febbraio scrissi una lettera a M. in cui le chiedevo di poter discutere con lei il nostro futuro rapporto, fra donna e donna. In particolare le comunicavo la mia sensazione riguardo la possibilità che potesse temere di essere etichettata come lesbica dal mondo esterno, pur non essendola. Questo perché, oltre alla crisi del “disgusto”, in quei giorni mi sentii rispondere più volte “ma io non sono lesbica” a qualche richiesta di coccole.

La lettera, che era anche una lettera d’amore, le piacque molto e mi propose di uscire una sera a cena per parlarne con calma. Eravamo in attesa degli stipendi – squattrinate come al solito – ma quando arrivarono i soldi nel frattempo i ristoranti erano chiusi per l’emergenza covid-19. 😞

Domani sera ceneremo dai vicini, che ancora non sanno niente. Almeno non ufficialmente, ché vedermi mi vedono, poi boh…
M. mi ha fatto notare che non gli ha mai detto niente. Lo so, e le ho ricordato che ho lasciato a lei i tempi e i modi per dirglielo – visto che è sua l’amicizia più forte con loro – ma, agganciandomi alla “femminilizzazione” le ho rammentato anche che ora, oltre alla mia “volontà” di vivere da donna, ho anche un “obbligo”, previsto dal protocollo ONIG,* di adottare il ruolo di genere consono in termini di abbigliamento, comportamento, espressione ecc., noto come “test di vita reale”.

Ovviamente, anche adesso e, a seguito della cassa integrazione – non ancora completamente incassata – ancora più di allora, siamo squattrinate, quindi l’idea di una serata al ristorante è molto lontana.

La sua proposta è quella di ripiegare su un kebab e poi passeggiare sul lungo lago per parlarne… e nutrire le zanzare.
E ancora una volta abbiamo ha rimandato sine die. 😕

 

          
* L’ONIG, Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, prevede un protocollo che stabilisce il percorso per l’adeguamento di genere delle persone transgender.
Il MIT, Movimento Identità Trans, che ne è stato socio fondatore nel 1998, ha recentemente deciso di abbandonare l’ONIG per “trovare nuovi percorsi per tutelare la salute e il benessere trans in dialogo con tutte e tutti”.
Un altro protocollo, poco diffuso sul territorio italiano, è quello del WPATH, World Professional Association for Transgender Health.