Finalmente ritirata l’ultima notifica

Oggi, finalmente, T. è riuscito a ritirare la notifica della mia sentenza.

Finalmente partono i 30+10 giorni per il passaggio in giudicato. Fra quaranta giorni sarò Chiara anche per lo Stato.

Certo poi ci vorrà ancora qualche mese per il passaggio e le trascrizioni burocratiche fra Tribunale e i Comuni di nascita, matrimonio e residenza, poi all’Agenzia delle Entrate… ma dal 12 di marzo – sì, ho fatto subito i conti! – nessunə mi potrà più chiamare con il vecchio nome, o deadname, come viene definito.

Non muoio io – io rinasco – muore il mio nome, definitivamente.
Non lo vorrò più sentire. Non più. Non a questo punto.

Mi devo emancipare!

Lo so, mi lamento sempre e invece dovrei baciare e cospargere di fiori dove passa M.: non mi ha buttata fuori di casa, mi ama ancora – almeno a modo suo – e sopporta le mie paturnie.

Questo non toglie che mi debba emancipare!

Ci sono momenti in cui mi sento solo un peso, momenti in cui vorrei avere di più, sia di affetto che economicamente… e troppo spesso mi pare di essere l’unica in famiglia a dover rinunciare quasi a tutto, per far quadrare il bilancio, pure a dei farmaci e a degli integratori prescritti, per non parlare dei trattamenti estetici – elettrocoagulazione dei rimanenti peli del viso e logopedista per addolcire il mio vocione – che, non essendo vitali, sono rimandati sine die ma sarebbero necessari per una mia piena affermazione.

Poi posso spostarmi sempre di meno: dopo il tramonto non posso più guidare, e chissà per quanto potrò conservare la patente, a causa delle troppe patologie che si stanno accumulando.

I miei contatti ormai, a parte la famiglia, in casa, e il lavoro, sono quasi esclusivamente virtuali… vien quasi da benedire il covid per averci dotato di strumenti, o meglio di averci costrettə ad abituarci a usarli.

Avrei bisogno di spostarmi in un ambiente più urbano: qui senza macchina non si può nemmeno pensare di muoversi. Ma di trasferirsi né M. ne F. ci pensano proprio, anzi: non hanno nessuna intenzione di lasciare questo paesino, tanto bello quanto isolato.

Sì, lo so: mi vanto sempre di essere un’orsa montanara. Vero! Però questa è a mala pena collina, non montagna, e per quanto orsa o forse proprio per esserlo mi sento in trappola.

Ho bisogno di un reddito, vero, adeguato, con cui potermi autodeterminare. Ho bisogno di un tetto, di mezzi pubblici affidabili e, ahimè, vista la condizione di gambe e schiena ne avrei bisogno in pianura.

La montagna mi manca ma ormai è rimasta solo un sogno e, ne sono sicura, è la sua carenza che ha aggravato le mie condizioni fisiche – e psichiche.
Ah, dimenticavo: ho bisogno d’amore. Di amore ne ho tanto, ma per quanto può durare un amore così a senso unico?

Come non pensare a Pino Daniele, in questi giorni, e soprattutto a Voglio di più!