A passeggio

Una volta andavamo spesso, a camminare insieme.

Una volta avevo un altro fisico. Un altro passo. Sono arrivata a fare, a piedi, il giro completo della Ciclabile del Lago di Varese, 28 Km.
Poi sono successe tante cose, ma questa è un’altra storia, e qui si parla della mia transizione.

In tanti anni di disoccupazione, ogni volta che potevo, sono sempre andata a camminare… da disoccupata lo facevo spesso – ginocchia permettendo – e ogni volta che poteva, veniva anche M. con me.
Una volta ero io a rallentare il passo, ora arranco… ma, l’ho già detto: questa è un’altra storia!

Fatto sta che circa due anni fa ho finalmente rincominciato a lavorare e, per lavoro, cammino normalmente quattro, otto ma anche dieci e passa Km al giorno.

Contemporaneamente la nostra vicina, grande amica di M., voleva iniziare a camminare – camminare fa bene, tanto!!! – e quindi hanno iniziato a camminare loro due per piacere/salute e io per dovere/salute.

Chiedo nuovamente scusa per la lunga parentesi privata ma mi sembrava necessaria per spiegare come mai stamattina mi sia sembrato estremamente piacevole tornare a camminare con M.

Sì, è già capitato, in questi anni, di fare passeggiate insieme, ma stamattina ero io a soddisfare una sua necessità, forse solo volontà… comunque ad accompagnarla. Ed è stato piacevole tornare a camminare insieme. Nonostante il mio passo, stanco. E che in pomeriggio, per lavoro, saranno almeno altri 8 Km.

Da tempo avremmo – avrei! – bisogno di fare una lunga, rilassata, profonda riflessione di coppia. Ho alcune domande, in particolare per lei, e spunti di riflessione per tutta la famiglia.

Lo so, bisognerebbe sempre godersi il momento. Stiamo passeggiando insieme: è bellissimo, anche se, ormai, tenersi per mano, è un lontanissimo ricordo.

Entra in argomento della sua compagine del treno. Il solito più e meno. Io, però vado spesso ad accompagnarla e a prenderla al treno. Da anni ci vado, a volte, con il mio solito filo di trucco. Da tempo ci vado anche in gonna. Finora non sono mai scesa dalla macchina, con la gonna. Le chiedo se ha parlato di me al suo gruppo di viaggio. “No. Magari con X e Y potrei dirlo, ma sai che Z è leghista”.

“Ah! Quindi è meglio se non scendo dall’auto, se vengo in gonna?”.
Silenzio. Ma siamo già uscite insieme, con me in gonna, anche a fare la spesa.

A questo punto affondo: “Ma al lavoro parli di me come ‘Chiara’?”.
Apro un’altra parentesi personale: ho lavorato anni fa, come operaia, lei contabile, nella stessa ditta, anche se allora ero “operaio”.

“Eh, io l’ho detto solo alla famiglia – i titolari – non so se l’hanno detto agli altri”. È una ditta familiare, ci sono altri due operai e quello che era il mio capo-officina, allora, che è appena ritornato in ditta “parla dei ‘ghei’ come ‘quelli là non li capisco’”. Ai tempi mi stimava. Ora che sono lesbica?

“Forse sarebbe più facile introdurmi se parlassi di me come ‘Chiara’”.
“Sì, forse. Potrei… Ma, sai, faccio fatica a riferirmi a te così, dopo vent’anni, e non credo che, no, anzi: non riuscirei mai a rifermi a te come ‘mia moglie’”.
“Be’, chiamami come vuoi, basta che non ti riferisca più a me come ‘tuo marito’, questo mi ferirebbe molto, mi farebbe molto male”.
“Ah!”.

Ok, camminiamo.

Anche perché già così sono arrivata con poco fiato alla macchina, e oggi pomeriggio mi aspettano altri chilometri, al lavoro.
E le domande sarebbero troppe.

A cominciare da: “mi ami ancora?”, già chiesto l’altra sera con un “sì”, secco, istantaneo come risposta.

Per poi finire con un, forse melodrammatico: “ma sei sicura di non voler sciogliere il matrimonio e rimanere in unione?”.

Perché, te l’ho già detto: nell’unione civile, magari non sarò ufficialmente tua “moglie”, forse neanche la tua “coniuge”, ma sarà – e questo te l’ho spiegato bene! – un’unione omosessuale. Sei davvero sicura? Io sono lesbica, tu no!
Ti amo. Tu?
Ti vergogni di me?

Sì, abbiamo bisogno di parlare e, nonostante ripetuti inviti, non leggi queste pagine, neanche quando proposi di stamparle per te.

Lasciamo maturare il pargolo, poi partirà per le vacanze e avremo tempo e modo di parlare. Spero.

Laser V – L’ustione perfetta

Ci ho pensato a lungo.

Sapete quanto odio apparire in fotografia, perché quella non sono io e bla, bla, bla…

Questa è anche un’immagine forte: su Facebook ho pure cercato come fare a mettere il disclaimer con la scelta per la visualizzazione ma pare lo decida Mr/Mrs algorithm.

Ho deciso di pubblicarla perché chi mi conosce, o almeno legge quello che ogni tanto scrivo, sa che ultimamente hanno messo in dubbio che io sia irrevocabilmente determinata a procedere con il cambio di identità di genere. E che le istituzioni pubbliche (SSN), alle quali mi devo forzatamente rivolgere per la certificazione si siano dichiarate prive delle competenze per farlo.

Spero di essere stata sufficientemente lunga per darvi il tempo per decidere se continuare a scorrere per vedere la foto.

Non mi sono mai mostrata così brutta e fragile.

Con la faccia non depilata – pardon, non rasata – per facilitare l’effetto del laser, nonostante ormai il pelo sia diventato quasi tutto bianco. E ustionata a dovere dal trattamento.

Questo mese è stata più dura del solito, forse per il caldo e il sudore che sicuramente hanno aumentato l’irritazione e per il fatto che, lavorando all’aperto la pelle, nonostante l’abbondante uso di crema solare con protezione 50, si sia ormai abbronzata – e il laser, come ogni radiazione luminosa, colpisce con più forza le parti scure.

Bon, io vi ho avvisatə e spero abbiate abbandonato la lettura molte righe più in alto.

Ma se siete arrivatə fino a qui ditemi, per favore: secondo voi una persona sana di mente – ah, già!? – si farebbe conciare così se non fosse determinata e irrevocabilmente decisa?

Ustioni da laser

Mentre sto completando l’articolo mi accorgo di ascoltare una canzone molto adatta. In piena sintonia per questo particolare momento! Perché è esattamente così che mi sento: So Unsexy!

Io, ogni volta che rivedo questa foto, piango!

Tirando le fila

Da vicino nessunə è normale
Franco Basaglia
Caetano Veloso*

Venerdì scorso, l’11, iniziato da poco il turno di lavoro, mi richiama il CPS di Laveno. La visita psichiatrica è fissata per il 20 luglio.
Quello che ne seguirà non lo so, non me lo dicono, l’infermiera parla solo di visita. Il tono di voce non mi infonde molte speranze, ma il mio telefono è vecchio, fa caldo, sono sotto al sole. Chi mi chiama ha, probabilmente, anche più diritto di me di essere stanca.

Ieri, martedì 15, mi richiama, come promesso, il CPS di Azzate. Sentito lo psichiatra, mi confermano che per competenza “territoriale” devo forzatamente rivolgermi al cps di Laveno, che ha dichiarato di non avere “competenza” per fornire la documentazione richiesta dal Tribunale. Ma che, nel frattempo, mi ha comunque fissato una visita-colloquio psichiatrico.
L’infermiera di Azzate mi dà il nome del Primario di Psichiatria, da contattare in caso Laveno non riesca a risolvere la richiesta del Tribunale. Però non mi sa dare contatti né sa dirmi in quale struttura svolga la funzione di primario.

Oggi ricevo una risposta dal servizio psicologico del Centro di Niguarda. Mi fanno notare, come più volte ho evidenziato, sin dalla prima telefonata, che il tribunale richiede documentazione psichiatrica. Mi invitano quindi a rivolgermi allo psichiatra del centro. Eh, già: come ho fatto a non pensarci? Rimedierò domani!

Ma ringrazio, davvero: non sono sarcastica! Ho bisogno di tutto l’aiuto che volete o potete darmi.

Vi confesso però che sono vicina alla disperazione. Vicina a credere di essere matta. Davvero. State iniziando a convincermi di essere un caso psichiatrico!

Perché, se quando sono così vicina a sentirmi, finalmente, me stessa, riconosciuta non solo da parenti, amiche, amici, colleghə, lo Stato decide che qualcunə debba nuovamente strizzarmi il cervello per descrivere quello che pensa di me, allora, forse, sono davvero matta!

Ma attenzione: non è che poi, se io sono matta e mi avete creduta, lo siete un po’ anche voi che mi avete accettata, accolta, amata per quel che sono?
Chiedo per un’amica! 🤭

***

Riflettendo: è una formalità, o una questione di qualità?
E io sto bene? Io sto male?

Importa?

 


* “Da vicino nessuno è normale”, in portoghese “De perto, ninguem é normal”, deriva da un verso di Vaca profana, di Caetano Veloso. Cfr. http://www.news-forumsalutementale.it/cosa-non-ha-detto-franco-basaglia/

Perplessità trans-escludenti… in casa 😲

Fra le chiacchiere della cena, parliamo di varie e di sport. Sull’argomento cito Valentina Petrillo che potrebbe essere la prima atleta paralimpica italiana transgender a partecipare alle olimpiadi.

M. non è d’accordo, per lei rimane comunque un vantaggio dalla fisicità originale del corpo maschile. Inutile spiegare il limite, individuato dalla Federazione, di 5 nanomoli/litro di testosterone per il riconoscimento come atleta “donna”.

Dallo sport scivoliamo nella vita reale, e mi propone il caso in cui una persona – di sesso maschile – si dichiari donna in carcere, per essere internata nel reparto femminile ma… Non mi ricordo se abbia finito la frase, l’ho interrotta bruscamente perché è un grande classico TERF – o gender-critical, che dir si voglia – che prevede che l’autodeterminazione sia solo volta a violentare le altre detenute.

L’altro classicone è l’uomo che si dichiara donna per entrare nei bagni femminili e violentare le presenti. Come se gli uomini – certi uomini – avessero bisogno di tali espedienti per i loro crimini sessuali.

Le ho chiesto dove avesse letto tali castronerie ma, quasi offesa, risponde che non l’ha letto – né sentito, dice – da nessuna parte.
Ma la frase era proprio fotocopiata, parola per parola, da alcune argomentazioni che ho avuto la sgradevole occasione di leggere.

Non insisto, cambio argomento: lo scontro è troppo netto. Lei non è così, lo so. Vive con me. Eppure… 🤔

Un breve riflessione a conclusione: la terapia ormonale per le donne trans* prevede anche la somministrazione di anti-androgeni che, in congiunzione con gli estrogeni, di fatto provoca una castrazione chimica. Se regolarmente assunta, l’ipotesi di violenza carnale diventa decisamente improbabile.
Ma davvero pensate che il primo pensiero di una donna trans* sia quello di ottenere un’erezione per violentare la prima che passa?

Certo negli esempi del carcere e del bagno pubblico si considera la figura di un predatore sessuale ma quando io ho avuto dei risvegli mattutini, in seguito a un cambio di terapia, mi sono sentita malissimo e sono tornata velocemente al farmaco precedente!
E – maschietti non leggete oltre! – francamente non vedo l’ora che il problema venga sistemato ✂️ in modo definitivo.

Qualcosa si muove

Basta piangere. È ora di agire. E di risolvere.

Appena sveglia cerco i contatti e provo a chiamare i CPS di Azzate – su consiglio di un un caro amico a cui hanno rilasciato certificazione che, nel suo caso, è stata accettata dal Tribunale – e di Varese – se Laveno non ha competenze, anche perché sotto-organico, essendo capoluogo ha più probabilità di potermi aiutare.

Come mi aspettavo i telefoni squillano a lungo, a vuoto od occupato.
Nel frattempo ne approfitto per scrivere direttamente al dr. Bini, come mi ha suggerito ieri la segreteria del centro di Niguarda.

Il responsabile del servizio per l’adeguamento delle identità di genere – nonché del Centro per la Fertilità e Sterilità – mi risponde poco dopo, informandomi di aver inoltrato la richiesta a chi di dovere. Non so a chi ma vedrò come procede, quando mi ricontatteranno.

Poco dopo finalmente si libera la linea di Azzate e riesco a parlare con un’infermiera. Le spiego la mia situazione e il mio problema. So che i CPS sono suddivisi per competenza territoriale ma non potendo essere aiutata da Laveno – cui dovrei far capo, per residenza – né, dal punto di vista psichiatrico, da Niguarda – accettano di considerare la mia richiesta e mi danno le informazioni per accedere al centro, con un triage infermieristico prima di prendere appuntamento.

In pomeriggio mi richiamano: si sono giustamente consultate con Laveno che, saputo che Niguarda non mi può aiutare, pare siano ora più disponibili a provare ad aiutarmi.

In ogni caso martedì si consulteranno con lo psichiatra del centro per capire come aiutarmi. Rimangono comunque disponibili nel caso Laveno non possa aiutarmi.

Richiamo quindi Laveno e parlo con l’infermiera con cui mi sono sempre trovata in empatia. È lei che ha parlato con Azzate. Le rispiego le mie necessità, le carte – del tribunale e dell’avvocato – le ha già in mano. Domani parlerà con la dottoressa per capire se posso avere un incontro con lei e cosa possono fare con me.

La informo che avrò una risposta da Azzate per martedì e rimaniamo d’accordo di aggiornarci la prossima settimana.

Non c’è ancora una soluzione ma almeno non è più tutto nero.

Sono stanca. Sono sempre molto stanca, ultimamente. Ma almeno non piango. Non oggi.

Niguarda, mi potete aiutare?

Oggi doppio turno. Ma oggi è anche il giorno in cui so che da Niguarda potrebbero rispondere al telefono.

Per regolamento mi sarebbe vietato fare e ricevere telefonate, durante il servizio. Spero, se mi leggono, che capiscano perché non potevo fare altrimenti: sono disperata!

Dopo vari tentativi a vuoto – non lo fanno apposta, non sono indolenti: dovreste vedere quante persone cerca di soddisfare l’unico centro lombardo dedicato all’adeguamento dell’identità di genere. E vengono anche da tutto il nord-Italia – finalmente rispondono. Nonostante la lunghezza e – mi rendo conto – la confusione della mia richiesta, l’infermiera è gentilissima. Purtroppo non sa come aiutarmi: ora a Niguarda non hanno più un servizio psichiatrico ma solo è attiva solo la consulenza psicologica.

Mi consiglia di scrivere al dr. Bini. Lo farò domattina, sperando che abbia il tempo di leggermi e rispondermi, perché anche lui è oberato di richieste. Lo so.

La visita di controllo è fra circa un mese. Spero di risolvere prima ma rimane la mia carta di riserva.

Non ditemi che non ci sto provando!

CPS: respinta al mittente!

Ieri pomeriggio, verso sera, ho smesso finalmente di piangere, dopo tre giorni e, soprattutto, due notti.

Mi sono ripresa.
Mi “ero” ripresa.

Stamattina sono andata al CPS per portare il verbale dell’udienza e lettera dell’avocato per chiarire, come richiesto da loro, cosa mi serve da loro, con la speranza di poter abbreviare i tempi.

In pomeriggio mi chiamano… WOW, di già!? Non ci posso credere!!!

Eh, infatti, no, chiamano solo per dirmi che “non hanno le competenze per stilare la relazione richiesta dal Tribunale”.

A niente valgono proteste, richieste di spiegazione, suggerimenti…
“È solo una valutazione psichiatrica!”.
“No serve una specializzazione che non abbiamo”.
“Chiedono solo di valutare se sono sana di mente e se sono disforica per il genere – questo l’avete già certificato! –, se sono matura, determinata e se la mia decisione può essere valutata come irreversibile”.
“Non abbiamo le competenze per farlo”.

Mi consigliano di contattare il servizio di Niguarda, dove ho già iniziato un percorso e dove, secondo loro – come effettivamente appare su infotrans.it –, i tempi di attesa sono solo di quaranta giorni. Se non fossi preoccupata, triste e arrabbiata, scoppierei a ridere! Cerco anche di spiegare che i tempi medi di primo accesso a Niguarda sono di circa sei mesi, ma ovviamente la mia voce cade nel vuoto.

Mi dicono anche che potrei potrei provare a rivolgermi ad altri CPS del territorio, come si fa per qualunque visita… Obietto che, sul sito dell’ASST Sette Laghi, è chiaramente indicato che l’accesso ai CPS è legato al distretto relativo al Comune di residenza. Ribadiscono che non è così: proverò!

Poco dopo richiamo, sono ancora infuriata ma cerco (almeno spero) di essere gentile. Chiedo se almeno mi possono fare uno scritto per giustificare perché non possono rilasciare la relazione relazione richiesta.

Mi rispondono che “non funziona così”, che loro rispondono al Tribunale solo quando è il tribunale a chiedere consulenza.

Ah, quindi le “COMPETENZE” le hanno, per il Tribunale, ma non per me?
Ma se è così che funziona “il sistema”, perché la giudice onera me della prova, invece di chiederla direttamente alla struttura?

Avevo il terrore di finire sotto CTU ma, forse, poteva essere più semplice?

Eh, evidentemente con me la sfiga prende proprio la mira.

Fino all’altro giorno giorno ho sempre parlato con un’infermiera molto gentile ed empatica. Oggi con altre due infermiere. Mi domando solo: la non competenza specifica l’ha decisa la dottoressa o lo staff infermieristico che fa da filtro?
Chiedo per un’amica! 🤭

Di nuovo al CPS

La fortuna è cieca,
ma la sfiga ci vede benissimo.
Roberto “Freak” Antoni

Dopo quasi un anno dalle dimissioni formali dal CPS, e sei mesi dal certificato psichiatrico, varco ancora una volta la soglia del CPS di Laveno.

Vado a prendere un nuovo appuntamento per una visita psichiatrica. Hanno una mia cartella – anche se non so quanto corposa – e quindi ottenere l’integrazione richiesta dal tribunale non dovrebbe essere difficile.
Non dovrebbe. Eh!

Lo psichiatra che mi visitò per l’accesso al CPS e poi rilasciò la certificazione, in consulto con la psicologa, non lavora più qui. 😱

Insieme al mio psichiatra se ne è andato un altro. Da quattro sono rimasti in due… e l’attesa sarà lunga: si parla di agosto.

Continuando il percorso già iniziato non sarebbe un problema: udienza a fine settembre, dovrei depositare le carte all’inizio del mese… ma devo rincominciare da zero. Ma non so quanto tempo abbia bisogno la nuova dottoressa per valutarmi e stilare la relazione.

La mia solita fortuna

A cena fuori

Dopo due giorni di risvegli stranamente – direi quasi incomprensibilmente – euforici, ieri mi sono addormentata piangendo e piangendo mi sono svegliata stamattina.

Poi al corroborante sfogo con il gruppo AMA è seguito un turno di lavoro sotto il sole già torrido – in cui mi sono chiesta se arriverò a fine estate, quest’anno. Ne sono uscita stanca, sfinita.

Stasera usciamo a cena, per festeggiare. Elettricità nell’aria e non è solo il temporale. Esco stanca e nervosa. Torno satolla, leggermente inebriata, serena, quasi felice. Potere del cibo, dell’alcool, ma soprattutto del passare un bel momento con la famiglia.

Mentre mi spalmo gli ormoni mi viene in mente la giornata di domani: devo tornare al CPS, con nuovi documenti, per provare ad accelerare il nuovo iter psichiatrico.

Già: mi tocca ancora il vaglio dellə strizzacervelli. Un’altra volta. Un’altra volta devo – e non voglio – essere valutata come soggetto potenzialmente malato.
Se decido di mettermi a nudo, in cerca di aiuto, come ho fatto con lo psicologo, è una mia scelta. E mi è servita, lo rifarei.

Se invece ti impongono di spogliarti, voi come lo chiamate?!

E via… un’altra notte a piangere: ma i miei occhi non sono già abbastanza belli? Be’, no, certamente non “adesso”!