Schiava in casa: e per fortuna è stato cresciuto da due femministe!

Da giorni, da quando M. se n’è andata – ed è lei che ha viziato l’erede comune, nonostante s’incazzasse da vipera quanto le facevo notare, per scherzo, ma anche un po’ sincera, che mi sembrava di essere più femminista di lei. Lo so, non sono gare da fare – mi lamento che F. per la casa non fa assolutamente niente, anzi!

Ho una serie di patologie per le quali riesco a fare sempre di meno – cosa per cui M. se la prendeva sempre con me, per mancato aiuto – e mi si sono pure beccata dell’ipocondrica, nonostante varie certificazioni mediche. Avete mai sentito parlare delle malattie invisibili che sembrano esistere solo nella testa delle donne?

Pur non potendo guidare né fare sforzi – sulla carta – la spesa tocca quasi solo a me e, in casa, invece di avere “aiuto”, sono schiava di un Unno che lascia piatti e cibo sul divano, vestiti sporchi a terra e stoviglie varie in giro.

Quando gli chiedo si fare qualcosa sbuffa e risponde di sentirsi “obbligato” – io la chiamerei “collaborazione”, voi che dite?

Quando provo a ricordarglielo si inalbera: ogni volta che gli ricordo quello che dovrebbero essere i suoi compiti minimi si innervosisce. Quindi devo fare tutto da sola, proprio quello che M. mi rinfacciava spesso, giusto dopo aver servito snack al pargolo.

Per anni, in disoccupazione, e finché il fisico ha retto, la casa l’ho gestita, pulita, lavata, lucidata e stirata tutta io. Poi è iniziato il decadimento fisico, la schiena prima e la fibromialgia.

Ho sempre e comunque continuato a fare quello che potevo, forse poco, mentre F. rimaneva sdraiato sul divano, stile impero romano nel pieno della decadenza, continuando a chiamare l’ancella, che subito pronta interrompeva ogni attività per servirlo.

Guai a farglielo notare: M. si arrabbiava con me, come ogni volta che sono intervenuta per educarlo al femminismo – lei continua a pensarlo di esserlo ma cor’e mamma non può valicare il limite, se vogliamo almeno provare a superare il patriarcato – e ogni volta che si è permesso di insultarla e sono intervenuta alla fine la sgridata me la sono sempre presa io per essere stata “troppo dura”.

Sono pacifica, non pacifista, spero sempre in una contrattazione e risoluzione verbale, in anni di servizio d’ordine non ho mai messo le mani su nessunə – se non per la classica spintonata d’allontanamento, permettetemela questa, almeno – quindi almeno cerco di essere anche non-violenta. Ma non fattemi sbottare, anche se ormai sono vecchia, dolorante… meglio non mettermi alla prova.

Invito a cena… senza delitto!

Ieri sera mi invita a cena, per oggi, la mia vicina di casa. Sì: la migliore amica di M., quella per cui M. non se ne sarebbe mai voluta andare via da qui.

Mi rassicura che, per quanto voglia bene a M., il rapporto con lei e la famiglia non è minimamente cambiato. Ed è accogliente come sempre ma il marito assente – eh, il calcio in tv! – e i figli, già grandi, latitanti… ma tutto sommato, anche se mi avrebbe fatto piacere confrontarmi con la figlia maggiore, nata giusto qualche giorno dopo F.

La vicina – mi spiace chiamarla così ma è per tutela della sua privacy – mi dice che M. mi ama ancora tanto e ha ancora grande affetto per me… Io non riesco a percepire più né uno né l’altro e mi viene da ridere – spero espresso solo con un piego delle labbra – anche solo per il momento e il modo in cui se ne è andata: non credo le sia rimasto alcun sentimento, se non l’egoismo, che sentimento non è.

Al di là dei pareri della “sua” amica, i primi pareri, soprattutto dal lato femminile, delle mie amiche e delle colleghe il primo commento è stato: “ma si è trovata un altro?”. Io francamente glielo auguro, se avete letto fin qui, sapete che gliel’ho chiesto più volte di rifarsi una vita – e tutto questo non è colpa di nessuna di noi: la mia non è stata una scelta e lei non non era né bisex né fluida né innamorata di me come persona, al di là dei muscoli – che non ho mai avuto, anche se le zampette erano ben scolpite finché sono andata in montagna – e al di là dei genitali: sapete che a volte succede? Non, è una mia invenzione.

Io ho pensato più a una lesbofobia interiorizzata. Intendiamoci: lei ha sempre accettato tutti gli orientamenti sessuali e d’identità, l’ultimo modo in cui potrei definirla è omofoba o transfobica. Però so bene, sulla mia pelle, quanto sia difficile sopportare le etichette che questa società ti appiccica, come infamanti, figuriamoci quando neanche ti ci riconosci.

E se devo pensar male, sin dal primo pranzo di Natale con i suoceri, dopo il mio outing – lasciai a M. di scegliere se volesse dirglielo lei o se preferisse lo dicessi io – la suocera dava per conclusa la nostra coppia fosse conclusa. E credo che abbia continuato a insistere su questo punto con M. che, ogni volta andava a pranzo dai suoi – mentre io lavoravo, come ogni domenica… forse anche questo ha influito – M. tornava sempre un po’ turbata. Poi magari andava, sempre più spesso, solo per sfogarsi.

Ultima ipotesi che posso formulare è che in tutti questi anni abbia solo sopportato, per amore, credendo magari fosse solo una fase o, all’inizio, solo complicità in un gioco erotico. E, a un certo punto, il tappo è saltato, come dicono le sue ultime parole “non ce la faccio più!”.