Ci ho provato

Stasera ero a casa con nostro figlio. M. è uscita a cena con le amiche: finalmente con (quasi) due stipendi possiamo permetterci qualche extra.

Approfittando di essere soli e che durante la cena era un po’ in chiacchiera ho provato a proporgli un’altra volta la mia disponibilità a parlare di me e a quello che ci sta succedendo: la mia transizione coinvolge tutta la mia famiglia.

Risposta: il silenzio.

Ci ho provato, non basta, lo so…

Lavoro, festivo

Oggi ho lavorato, ed è stata una giornata pesante, più del solito. Sia fisicamente che di stress. (Secondo mio fratello sono fortunata ché me lo pagano doppio).

Un po’ mi ha tenuta lontana dal pensiero di mia suocera: “finirà!”.

Che possa finire lo so, che possa succedere me l’ha detto varie volte M., a lei non piacciono le donne. Il fatto che l’abbia sentenziato sua madre però mi ha preoccupata di più. Non è più un’adolescente con il classico “sì, mamma!”.

Fatto salvo il lavoro di oggi e quello che sono riuscita a dormire stanotte, ho pianto. “Piangi troppo, – mi dirà M. – vedi sempre tutto nero”.

Vero: piango troppo, troppo spesso e anche inutilmente. A volte anche per qualche pubblicità stupida.

Però, per quanto lei mi rassicuri che mi sarà sempre vicina e che “non è detto che fra noi finisca”, la sola idea che possa finire – io sarò pessimista ma quanto può essere quotata da un bookmaker una storia fra una donna-trans-lesbica e una donna-perdutamente-etero? – mi fa sanguinare il cuore, e piango.

Lo so: devo lasciarla andare, e gliel’ho detto, tante volte. Le ho anche detto che dovrebbe trovarsi un altro, con cui iniziare una nuova vita, risposta “non è detto che abbia voglia di cercare un altro”.

La amo. Mi ama. Ci amiamo.

Sto sbagliando qualcosa. Io. Io sono sbagliata.

Sarà la vecchiaia ma mi piacerebbe avere qualche certezza.

Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.
Canzona di Bacco, Lorenzo de’ Medici

Canto di Natale

Chi mi conosce di persona sa quanto odio il Natale.

Non sono sicura se fosse il 1972 o, l’anno dopo, il 1973, a pochi mesi o un anno dalla morte di mio padre, ma quando chiesi qualcosa a proposito del Natale mia madre ebbe una crisi: urlò, disse cose che non mi ricordo ma mi scossero.

Fu l’unica occasione in cui, forse, mi ferì, non voleva certo farlo, e aveva tutti i motivi per essere ferita lei, vedova a quarant’anni.

Il vero odio però iniziò con la “Milano da bere”, gli anni ’80 del 1900, quando amavo ancora quella città e odiavo chi la definiva così. Però, abitando vicino a una zona di shopping, nel periodo natalizio facevo a volte fatica ad uscire di casa, per il flusso di persone, e dovevo sgomitare per fare pochi passi.

Quindi la colonna sonora inizia (anche se non ha niente a che vedere con quest’anno) con: Spaziobianco, Natale di …

È stata una bella giornata, fra noi e i miei suoceri, che non avevo visto da quando M. gli ha detto del mio percorso. Che gli voglio un mare di bene e che siano i migliori suoceri che si possano desiderare, se non l’ho già detto lo ribadisco qui.

Uscito il pargolo, per incontrare gli amici, abbiamo avuto modo di parlare. Io di spiegarmi. Loro di accettarmi. Non avevo molti dubbi che mi capissero, come persona, e non sapevo avessero già avuto esperienza con una persona nel percorso inverso (FtM).

Come genero, o – meglio – nuora, avevo più dubbi e, infatti…

Il suocero ha parlato poco ma, tutto sommato l’ho trovato più accogliente e comprensivo.

La suocera l’ho trovata comprensiva, mi ha accolta pienamente come persona, ma non come “nuora”.

Entrambi mi hanno esclamato il diritto che tutte le persone hanno il diritto di perseguire la propria felicità, più o meno le stesse parole di mio fratello.

Sono rimasta un po’ scioccata dal fatto che lei credesse più in una mia omosessualità, maschile, più che notare – per niente, pare – una mia femminilità. Certo aveva notato una mia “inquietudine”.
E mi ha ferita, molto, la sua sentenza, decisamente tranchant: fra me e M. non può che finire. E M. ascolta molto sua madre.

***

È Natale, si festeggia, e quando serve un brindisi come non aggiungere alla colonna sonora un Canto di Natale con un cordiale …

Vivo sospesa

Come titolo avevo pensato a “vita sospesa”, poi ho pensato al film, per quanto al plurale, e ho cambiato idea: non vivo in un film!

Non so se io sia più “appesa” o “sospesa”, certo stabile non sono.

Ultimamente temo di aver dato un’immagine distorta della persona che amo, della persona che mi dà forza e che mi ha portata, a volte sorretta, fino a qua: M.

La persona che amo come mai ho amato nessun’altra e di cui sento pulsare l’amore solo sfiorandola. Forse non sarà per sempre amore fisico ma è sempre amore. E mi scalda il cuore.

Vivo “sospesa”, perché vorrei sapere come andrà a finire. Chi non lo vorrebbe?

Vivo “sospesa”, perché è sempre un continuo rimandare, “non so”, “si vedrà”, e i tempi d’attesa per la transizione non aiutano proprio.

Stasera, rispondendo al suo “vado a letto” con “vengo anch’io”, ha sentito il bisogno di specificare “per fare la nanna!”. Certo: sono io quella che domattina lavora! Era proprio necessario?

Vivo “sospesa”, perché vorrei avere certezze che non posso avere, non subito.
E avrei proprio bisogno di certezze, di amore, e di carezze.

Visto che invece di seguirla sono rimasta qui a scrivere è tornata a scusarsi, ché non mi voleva offendere. Lo so. So che mi ama, forse più di quello che mi merito. Spero anche lei comprenda quanto la amo, anche se sarei andata più volentieri a nanna dopo… Ma stavo andando a nanna! Davvero!
Buona notte!

“Non lo so!”

Sveglia in seguito a un piccolo incidente domestico – tecnico, non personale: sto bene, a parte la perdita di sonno – dopo una pipì notturna (si può dire pipì, in un blog?), continuo i pensieri che mi hanno seguita per la serata e, temo, anche nel breve sonno.

“Non lo so” è per me un tormentone, al pari dei vari motivi latino-americani estivi, tipo Despacito, per intenderci.

“Non lo so” è la risposta tipica che ricevo da M. quando indago sul nostro futuro, prossimo o remoto che sia. Certo su quello remoto poco sappiamo entrambe, però…

Parlando a proposito di cose di un certo peso, tipo su “cosa succederà dopo l’operazione?”, se mai ci arriverò – e non ci arriverò se continuo a bere troppo, come faccio – posso capire che i dubbi siano mille: ne ho tanti anch’io!

Stasera è entrata in camera mentre stavo provando delle gonne prese al Baratto per vedere se riesco nuovamente a entrarci, pensando a Capodanno. Una mi sta perfettamente – yeah! – e le ho chiesto se, per lei, potevo indossarla alla festa:
— Sei tu che devi decidere!
— Ma poi mi baci se la metto?
— Non lo so!

Ecco, ti amo, ti amo infinitamente… e per questo, come al solito, verrò in jeans e camicia, perché voglio essere baciata da te, a Capodanno come ogni altro giorno.

Purtroppo non so neanche se e quando leggerai queste note: ti ho invitata tante volte a farlo. Sapendo che odi leggere a video ti ho proposto di stamparti una copia, ma no: “leggerò il blog”, mi dicesti… Trovarlo è facile, come ti ho spiegato “si chiama semplicemente ‘Sarò Chiara’, quando vuoi ti do l’indirizzo”, ma non me l’hai mai chiesto.

Così come, dopo che mi sono informata sul consultorio familiare per una terapia di famiglia o di coppia, suggerita dalla tua dottoressa, la risposta fu “ci penserò”. Te l’ho ricordato una volta, oltre mi sembrava di insistere troppo… sono passati mesi.

Sarà il periodo natalizio, sarà la stanchezza, saranno gli ultimi eventi, o semplicemente sarà il mio pessimismo cosmico: devo lasciarti andare, te l’ho già detto… ne sarò capace? Non lo so!!!

Perdere tutto per non ottenere niente?

Chiedo scusa a chi mi vissuta, ieri e oggi, fuori e dentro queste pagine, ma questo titolo sta diventando un mantra. E una cara amica mi disse che farà parte di tutto il mio percorso: non è una bella prospettiva.

Ieri sono esplosa: io odio il Natale; mi è arrivato il “ciclo”, per quanto ovviamente psicosomatico – per natura, e per l’età dovrei nel caso essere in menopausa anche se, di fatto, come donna sono in piena adolescenza, e quasi puntualmente, ogni quattro settimane sono nervosa e poi arrivano crampi all’addome; e credo di essere arrivata alla rottura definitiva(?) dell’amicizia più importante della mia vita.

Da tempo ci becchiamo. Per quanto lui sappia da anni di quello che sento, da quando ho iniziato ufficialmente la transizione percepisco sempre più ostilità. Magari sono solo io a fraintendere, ma… (mi disse un’amica, con cui sono stata – da ragazzo – brevemente fidanzata: “chi dice ‘ma’, cuor contento non ha”).

Non posso, e soprattutto non voglio scendere nei dettagli dei motivi di scontro, troppo personali e delicati. Per questo mi assumo la piena responsabilità del mio “non essere disponibile” a capire che “lui è lo stesso” – cosa che secondo lui io non accetto – e che “io sono cambiata”. In realtà non credo di essere “cambiata” ma solo di essermi scoperta e dichiarata. Capisco, però, possa essere – e sicuramente è – percepito come cambiamento. Di certo lui è ovviamente lo stesso, non credo sia necessario accettare un dato di fatto.

L’inizio degli ultimi battibecchi parte da una battuta che ho ritenuto sessista, spiegandogli il mio disagio, come donna. Gliene ho fatte notare tante anche in passato, da uomo, ingoiandone tante altre, in particolare quelle di “gruppo”. Ora, evidentemente, sono diventata più rompicoglioni. Ma se il “problema” è la (non) accettazione di certo linguaggio allora forse non è amicizia ma cameratismo.
Pochi giorni fa cercò di spiegarmi il suo dolore per aver perso il suo “amico” e di voler conoscere la nuova “amica”. Gli risposi che io sono sempre la stessa persona, nonostante il nome e i pronomi, felice dell’apertura.

Subito dopo spuntano i suoi “paletti”, non meglio specificati, che io dovrei rispettare(?). Certamente ho piantato anch’io molti paletti. Alcuni li ho solo raddrizzati, sicuramente ne ho messi più di quelli di cui mi rendo conto. Forse mi sento scusata dalla sofferenza del mio percorso, e non dovrei! Continuo a scusarmi. Forse anche troppo.

Alla fine mi dice che non capisco un cazzo (sic!). E chiude con uno “stai come puoi”. Credo di non aver mai sentito un commiato peggiore.

So di essere fallace, umorale, nervosa… a volte – spesso direi! – credo di essere proprio sbagliata… ma non ho mai sopportato le persone che credono di avere sempre ragione. Mai!

Sushi! (All you can eat, ma non ditelo ai miei dottori)

Con il mio secondo stipendio, ce l’eravamo promesso: andiamo fuori a mangiare!

Finite di pagare le bollette uno sfizio possiamo togliercelo in famiglia?
Così gira anche l’economia (cit.!).

Stanca, a fine giornata, lunga, me ne ero anche dimenticata ma ho trovato le energie per darmi una rinfrescata, un filo di trucco e vestirmi carina… anche solo per dimenticare la divisa da lavoro.

Serata stupenda, un sogno, da tanti mesi.

Poi è arrivato il conto: non quello del ristorante, in linea con le aspettative. Ma quando mi trucco M. si allontana, fisicamente, sempre. La capisco, capisco perfettamente, e lo so che a lei non piacciono le donne, che prima o poi dovrei lasciarla andare… ma non è facile, non è per niente facile.

Sono una donna

È vero che stavo cercando fra le mutande femminili al mercato ma mi hanno chiamata “signora”, ancora, in tre differenti banchetti.

L’hanno fatto anche per strada, mentre entravo in ospedale, per chiedere un’informazione.

All’inizio della visita mi sono dichiarata e finalmente parlo di me al femminile anche come paziente, e così sarà per tutti gli specialisti che mi seguono, non solo al Niguarda e dal mio dottore!

Era una dottoressa giovane – purtroppo i medici cambiano quasi ogni volta e l’ho vista per la prima volta – ma indovinate un po’: non l’ho per niente sconvolta, anzi, ha capito e ha segnato il dato in cartella, chiedendomi il permesso, perché dovranno considerare la TOS per le loro indicazioni riguardo il mio – ahem! – sovrappeso… e la conseguente ridistribuzione della ciccia.

Io comunque una donna lo sono, lo sono già, e lo capiscono tutti… almeno finché non mi vedono in faccia 😱.

***

Essendo vanesia ho approfittato di qualche minuto di tempo libero – salvo poi ricordarmi che, invece, sarei dovuta andare dal dottore per le medicine – per un ritocco ai capelli.

Ma anche se mi piace il risultato non sono solo vanesia: li vedevo un po’ lunghi e il lavoro mi serve. Accorciati il giusto, allo specchio mi sono piaciuta.

Mi è piaciuto meno il fatto che ormai mi riconoscono come donna – non è questo il problema, ovviamente – e mi hanno fatta pagare, come tale, più del taglio da “uomo”… e senza ricevuta, questa volta… distrazione? (Anche mia!)

Le amicizie… quelle che ti fanno sentire bene

Lo dico sempre: credo di aver scelto e mantenuto, nel tempo, poche amicizie, ma tutte ottime.

So di essere “orsa”, e di conseguenza poche sono le persone che riescono ad avvicinarsi e a starmi vicine. D’altra parte la mia casa dei sogni è una baita, persa e nascosta fra i bricchi, con un unico sentiero d’accesso, possibilmente minato.

Ma non è vero! Ho bisogno di amiche e amici nella vita reale, in particolare in questo periodo. Questa è stata una di quelle sere in cui smetto di essere orsa e divento un peluche in cerca di coccole. E le ho trovate, in un ambiente ad alta politicizzazione, decisamente orientate nella mia direzione e che già nel primo incontro successivo al mio coming out usano già nomi e pronomi corretti.

Ho bisogno anche – e soprattutto – di un altro amico: quello di sempre, quello con cui sono cresciuta, come maschio, e con cui ho condiviso tante cose, da maschi, anche se ora ho scoperto non quello che sono diventata ma quello che sono sempre stata, senza capirlo per tanti anni, troppi forse, troppi perché possa “pretendere” che lui lo capisca.

Ma ci spero, lo spero tanto! Spero che prima o poi mi possa accettare, come amica, per quello che sono: donna, lesbica, femminista e – come mi disse – rompicoglioni.

Spero legga ancora qui, che mi legga, anche se temo non abbia mai letto i molti testi che gli passai e suggerii negli anni per cercare di spiegargli come mi stavo scoprendo e ritrovando. Oltre alle mie parole, ovviamente. Per circa quindici anni.

Mi scuso se sono stata troppo dura, come M. crede sia stata con lui, ma forse solo le persone come me, in transizione, e quelle che per vicinanza ed empatia assorbono i miei stati d’animo di estremo dolore ma anche di gioia esplosiva quanto sento il calore dell’amicizia e dell’amore.

Non sono l’unica a soffrire a questo mondo e c’è di peggio. Ma non mi sto divertendo, non lo faccio per far dispetto.

Come mi disse Antonia Monopoli quando la incontrai allo Sportello Trans di ALA Milano onlus: “fare la transizione vuol dire volersi bene”.
Io ho bisogno di volermi bene.
Ho bisogno che mi vogliate bene!

Non sono una brava blogger, lo so!

Ultimamente scrivo poco, troppo poco per mantenere un seguito nel mondo dei blog. Sempre che ne faccia parte, del mondo dei blogger, viste le ridicole statistiche di accesso.

Ma non lo faccio né per soldi – non c’è nessuna pubblicità qui, l’avete notato? – né per gloria – chi mi conosce davvero sa quanto io sia timida e “orsa” – se mi racconto qui è solo perché spero possa essere di minimo aiuto per chi sta affrontando un percorso simile al mio – tutti percorsi estremamente diversi e tutti con denominatori comuni – e per chi abbia voglia di capire cosa mi sta succedendo e/o perché ho sconvolto il rapporto che avevamo, la nostra amicizia, con una frase tipo: “sono una donna”.

Ultimamente scrivo poco perché, nel bene e nel male, succede poco: i tempi per l’accesso SSN alla transizione son biblici se non geologici e fortunatamente non ci sono particolari negatività.

Però sono contenta perché, più allargo la cerchia del coming out e più mi rendo conto di avere amicizie stupende.

E un po’ di vanità ci vuole: «Donna Moderna» questa settimana ha pubblicato una mia lettera riguardo il mio sondaggio sull’utilizzo dei bagni per le donne come me (qui ho pubblicato i risultati).

Per il resto vorrei chiudere gli occhi, risvegliarmi dall’anestesia e dirvi che è finita e va tutto bene. Nel frattempo vi abbraccio.

Colonna sonora doppia questa sera: “sono una donna” mi ha fatta pensare a Lucio Battisti, La canzone del sole, ma ho sempre mal sopportato Battisti, non me ne vogliate. Quindi non posso che citare Levante, Andrà tutto bene, per riequilibrarmi.