TDOV – Transgender Day of Visibility 2021

Mi hanno chiesto qual è la cosa più bella dell’essere una persona trans*.

Di fatto non sono felice di esserlo, perché, estremizzando, sarebbe un po’ come essere felici di andare dal dentista, perché così ci può rimettere a posto i denti.

Sono felice, invece, di aver iniziato il percorso e aver trovato sulla mia strada lo Sportello Trans di ALA Milano Onlus, Arcigay Varese con lo Sportello di Ascolto Arcobaleno e il gruppo trans con gli incontri di Abbiamo Molte Anime (Auto Mutuo Aiuto), e il Centro Identità di Genere istituito dal Prof. Bini presso il CFS di Niguarda.

Iniziando la transizione ho trovato serenità ed equilibrio, in particolare ora che sono alla fine della parte burocratica e all’inizio di quella legale, in attesa di quella chirurgica. Questa è la cosa bella per una persona trans*: affermarsi!

Sarebbe meraviglioso essere come Orlando, protagonista dell’omonimo romanzo di Virginia Woolf che dopo sette giorni di sonno profondo si risveglia nell’altro genere!

Il percorso invece è lungo e difficile, a volte doloroso ma diventa più facile e sopportabile grazie a persone che ci sono già passate, ad associazioni di riferimento e professionisti di supporto.

Sono una persona molto riservata e non mi piace mettermi in mostra ma se sono qui lo devo anche alla visibilità di chi mi ha preceduta, per questo, oggi, voglio condividere la mia esperienza.

Chiaramente chi mi legge abitualmente su questo blog sa bene che sto condividendo la mia esperienza da mesi, anni… un’altra cosa però è metterci la faccia con un pubblico vasto: questa è visibilità, questo è #TDOV, questo è il mio piccolo contributo.

Grazie – ancora – a chi mi ha preceduta!

Matita agli occhi

Stamattina devo andare al lavoro. Mi guardo allo specchio, guardo l’ora e decido: “Dài, c’è tempo per un filo di matita”.

Passo e ripasso solo la palpebra superiore, rima interna, calcando un po’ verso l’esterno. Matita blu, come i miei occhi.

Mi guardo allo specchio: mi piaccio. Tanto!
Vanità delle vanità.
Ma ogni tanto ci vuole, no?!

Non sarò più donna solo per un filo di trucco ma mi piaccio: questo è l’importante. Non lo faccio per il mondo, lo faccio per me!
E mi piace piacermi. 😉

A proposito, sono ancora una frana con il trucco: si accettano consigli ma non indirizzatemi ai tutorial youtube: io sono una boomer, una top boomer 😜 – avete visto in che data inizia il blog?

Chi posso visitare oggi?

Ma no, non si può far visita in zona rossa! Sono io che devo farmi visitare oggi e mi faccio un altro giro per le strutture ambulatoriali della mia ASST.

L’infermiera che mi accoglie per il triage pre-visita controlla le carte: il nome è quello anagrafico e come al solito chiede conferma di nome e data di nascita.
Misura temperatura, mi invita a compilare il modulo e poi a sedermi in attesa.

È una visita oculistica. Viene a mettermi le gocce, ormai sono esperta. Mi chiede conferma che siano entrate, confermo e mi dice che sono stata brava.
Lì per lì non me ne rendo conto: le gocce oculari bruciano maledettamente – questa “è la conferma che sono entrate”, mi dice.

Poi torna a controllare se hanno fatto effetto: “Sì, è bella dilatata” – manco fossi lì per partorire. 🤭

Dopo aver chiesto conferma all’oculista mi chiama: “Signora, venga”. E, per tutta la durata della visita, si rivolge a me al femminile.
Tre volte in ventiquattro ore! 😍

Ho le pupille talmente dilatate che quando esco, in pieno sole, non riesco a vedere. Sembro per aria… e lo sono! Ma non sono drogata: sono felice… anche se prima di poter guidare ci vorrà un po’. Leggere non se ne parla, ma amo la radio, sarà lei a farmi compagnia.

E indovinate un po’ che brano mi ricorda l’amore per la radio?
Mais oui, ça va sans dire!

Due volte “Signora”

Inizia il caldo – troppo e troppo presto, per me! – ed esco in servizio solo in camicia e gilet alta visibilità.

È un po’ che non accadeva: per chiedermi informazioni un’utente mi chiama “signora”.

La divisa che indosso depriva il corpo di forma, identità. Non sono truccata, forse saranno i capelli che si stanno allungando, grazie anche anche al DPCM.
Forse è il mio linguaggio del corpo?…

Poco dopo un’altra signora mi chiama allo stesso modo.

Potete immaginare cosa può significare per me, con la mia stazza, la pancia, la divisa, essere comunque riconosciuta come donna?

Gioia e lacrime. Ovviamente solo interiori: sono al lavoro.
Ma anche se non escono, non posso contenerle!

Coccole?

Il pargolo stasera dorme ancora fuori… Manco a dirlo, serata prosecco con quel che avanza del Select per un mini spritz al primo giro.

Finito l’aperitivo M. mi si siede a fianco e inizia a punzecchiarmi, fastidiosamente, col dito, come fa spesso con nostro figlio – e, soprattutto, viceversa.

Le chiedo “ti manca tuo figlio?”. Mi bacia e poco dopo inizia ad accarezzarmi la schiena con le dita – quelli che lei chiama “grattini”.

È molto piacevole ma mi irrigidisco: sono confusa, molto confusa!

L’ultima volta che siamo state da sole, dopo uno spritz si sentiva troppo ubriaca e stanca solo per parlare… e ora, dopo esserci scolate una bottiglia di prosecco prima di cena, con una manciata di patatine, queste coccole cosa significano?

Cosa vuole? Dove vuole arrivare? È lei che vuole o è l’alcool? Perché io muoio dalla voglia di fare all’amore con lei. Ma mi detto più volte che con una donna non le va proprio – anche di peggio – e io sono una donna, lei lo sa da tanti anni, ma ne ha preso piena coscienza solo quando ho iniziato il percorso clinico.

Quindi: lo vuole davvero? Sempre che lo voglia e non stia solo scherzando, allegra e dispettosa. Mi ripeto: sono confusa.

Dovremmo parlare? Ne avrei bisogno, davvero! Ma poi? Quando recentemente le ho spiegato il mio disagio per sentirmi meno importante della sua amica mi ha accusata di farla sentire in colpa. Ho paura di farlo, resto in ascolto, in attesa

Gli equilibri di coppia ultimamente sono alquanto instabili o almeno così li percepisco io e ho molta paura a muovermi, dire, chiedere. Non sono ancora pronta a rinunciare, volontariamente, a lei – per quanto l’abbia più volte invitata a rifarsi una vita. Preferirei rinunciare a me, ma ora che ho trovato il mio equilibrio potrei tornare indietro?

Lei, più volte, nelle mie crisi, mi ha detto che non posso tornare indietro. Ogni volta mi sono arrabbiata, perché io, solo io, posso decidere in che verso dirigere la mia transizione, la mia vita, il mio essere. Ma a questo punto la mia anima maschile è stata digerita, metabolizzata, risequenziata. Non posso neanche pensare di morire in un corpo maschile, figurarsi viverci. No, non posso tornare indietro!

Non ho la possibilità di emanciparmi. A ben vedere non abbiamo, entrambe, al momento, un reddito sufficiente per farlo. Mi piace pensare che stiamo ancora insieme per amore o, almeno, per affetto. Ma a volte è difficile amarla: è difficile amare un amore che non puoi amare come vorresti!

Riassunto: non potevo nascere cisgender* e, magari, pure eterosessuale? 🤔


* Cisgender, in contrapposizione a transgender, identifica una persona la cui identità di genere coincide con il sesso assegnato alla nascita.

C’era una volta: il Pirata Barbanera, l’Imperatore Barbarossa… e Chiara Barbabianca

Secondo giro di laser alla barba.

Dopo il primo trattamento la barba cresce più lentamente. La rado sì e no ogni due giorni.

Solo per il secondo trattamento laser l’ho lasciata crescere un po’ di più – serve il pelo un po’ lungo, un millimetro – e 😱orrore😱 è quasi tutta bianca!
Solo lasciandola crescere me ne sono accorta.

Sì, mi sembrava si vedesse di meno… speravo fosse dovuto sia al laser che al procedere della terapia. Il pelo avrebbe dovuto diventare più fine, più debole, anche più chiaro… ma bianco!?

Sarà colpa dell’età? Sarà la nuova formulazione di Estradiolo, spray, che nominalmente ha un dosaggio maggiore ma di fatto non ha quasi effetto su di me, con conseguente risveglio di erezioni mattutine 😱 e perdita di tonicità al seno? 😱

Temo di aver aspettato troppo a iniziare i trattamenti al viso. Ma, ahimè, le priorità economiche finora erano sempre state altre. 😢

Visita di controllo, è chiaro chi sono?

Sono andata in ospedale per una visita di controllo, anche se sarebbe meglio dire di valutazione, dopo il mio ricovero dello scorso dicembre.

Oggi volevo essere chiara: sono Chiara!

Mi sono truccata, vestita bene – sono stufa di camicia da notte – jeans – divisa – jeans – camicia da notte – anche se solo per andare in ospedale. Anche questo è un po’ rompere la routine in lockdown.

Pensavo di essere sufficientemente chiara riguardo a mostrare la mia identità ma la giornata non parte molto bene.

Mi vede l’infermiera, chiede l’impegnativa, controlla poi “ok, signor deadname, si accomodi, e attenda”.

Non lo fanno per me: è un’abitudine dell’ospedale di Varese e di tutta l’ASST Settelaghi: chiamano per nome, invece che per cognome, credo per farci sentire più a nostro agio, un tocco di familiarità e confidenza per aprire all’empatia… solo che il mio nome che leggono sul modulo non vorrei fosse più usato.

Sentirmi chiamare al maschile, davanti ad altre persone, in particolare quando cerco di sprizzare femminilità, è piuttosto imbarazzante, ma ci sono anche un po’ abituata.

Inizia la visita e la dottoressa si rivolge a me al maschile nonostante io, come al solito, parli al femminile. Solo quando mi spoglio per essere auscultata e nota il reggiseno inizia a parlarmi al femminile.

E sì, che sulla lettera di dimissione dall’ospedale che le ho dato all’inizio della visita, insieme alle altre carte, il lungo elenco delle mie patologie inizia con “disforia di genere, attualmente in trattamento ormonale”.

Che io non mi sia mai sentita malata, riguardo la mia identità di genere, credo sia inutile ripeterlo, altrettanto che la disforia sia stata riclassificata in incongruenza di genere, depatologizzandola definitivamente – anche se ICD-11 entrerà in vigore l’anno prossimo. Ma tant’è.

Finita la visita vengo affidata a tre infermiere – tutte gentilissime! – per fissare gli appuntamenti per gli esami richiesti e la visita di controllo.

Noto che per un esame ho l’esenzione e un’infermiera torna dalla dottoressa per aggiungerla. Ritornata mi accorgo che c’è ancora la spunta su “non esente” senza controfirma e torna nuovamente dalla dottoressa.

Mi scuso per il disturbo e mi rispondono: “non si preoccupi cara… ah, scusi, signore”. “No, no, va benissimo ‘cara’, preferisco!”. Sorridono.

Potevo essere più chiara di così? Sì, lo sarò, quando “Chiara” sarà il nome indicato sulla mia carta d’identità.

Finito il trattamento per eliminare la barba, credo proprio sarà il caso di lavorare sulla mia voce.

Di coming out sarete stufə… ma figuratevi me!

Oggi dovrei, vorrei essere a Milano a manifestare con lə compagnə di Non Una Di Meno – Milano per lo sciopero globale transfemminista.

Del mio ritorno all’attivismo politico – dopo aver detto mille volte “basta con la politica” – credo di non avervene parlato qui, per lo più perché non fa parte del mio percorso di transizione. Però mi sento di dire che sia con NUDM che con Rete Donne Transfemminista di ARCIGAY mi sono sentita rinascere come parte di una comunità, la mia comunità e non la comunità trans* – a cui comunque appartengo – ma la mia comunità in cui sono accolta come donna. Punto.

Non sono potuta andare a Milano perché i miei acciacchi si fanno sentire più del solito, in questi giorni, e allo sciopero ha aderito il comparto trasporti e rischio di non riuscire a rientrare nei miei tempi.

Non manifesto ma posso approfittare per l’ennesimo coming out. Mi mancavano le mie due prime cugine: le figlie delle due sorelle di mia madre.

Con una ero riuscita a parlare settimana scorsa, con la seconda non eravamo ancora riuscite a incrociarci, fra una telefonata e l’altra, nei momenti sbagliati.

Il ritardo mi è costato un outing: forse non sono stata abbastanza esplicita con la prima cugina, che avrei preferito dirlo personalmente anche alla seconda…

Questo non ha impedito di passare 85 (ottantacinque!) minuti al telefono a parlare, raccontare, rispondere, spiegare…

Certo avrei preferito, come al solito, dirglielo di persona, magari in un unico incontro, ma sono anni che non riusciamo a organizzare e con l’udienza in tribunale che si avvicina non potevo più aspettare.

Tutte e due l’hanno presa bene, mi hanno accolta e sono felici che ora anch’io lo sia, comprendendo quanto possa essere stato – e sia – difficile per me.

E ora, finalmente: tre sorelle, tre figlie, tre cugine! Non è perfetto?!

Mancano ancora pochissime persone con cui ci tengo a fare coming out: due coppie e un singolo. Anche loro, purtroppo, non vedo da tempo, nonostante gli sia molto affezionata. (Che sono orsa ve l’ho mai detto?)

Udienza fissata e confermata

Settimana scorsa sono arrivate le notifiche di citazione a mia moglie e ai miei figli.

Oggi invece è arrivata, dall’avvocato, la conferma della data della mia udienza per la riassegnazione anagrafica e chirurgica del sesso.
Designazione giudice e fissazione prima udienza
La data non la dico ancora, per scaramanzia: sono troppi i motivi di rinvio senza considerare il covid…
Ma non manca tanto e sono già in agitazione!

Il primo pensiero è stato riguardo l’organizzazione della giornata, il secondo: “oddio, come mi vesto?!”.

E come mi potrò rivolgere alla giudice, sempre che possa rivolgermi? Come dovrò chiamarla? C’è tempo per essere istruita dal mio bravissimo avvocato… ma voglio essere perfetta: non posso sbagliare!

Scopro che in aula potrò entrare solo io, con l’avvocato. Contavo molto di avere il sostegno morale (fisico e visivo) di M. e, potendo, dei figli. Potrebbero sì entrare ma solo se patrocinati da un legale.

Mi sorge ora il dubbio riguardo la conversione del matrimonio in unione civile… se lei non c’è, verrà celebrata un’unione per procura, come si faceva per i matrimoni negli anni ’50?

Boh!? È un dubbio da sciogliere.

Violenza di genere… e di genere sbagliato

La violenza di genere è sempre sbagliata!

Questo è (stato) un anno tremendo, non solo per il covid, ma anche e forse di più per la violenza di genere e i femminicidi. Avete letto i quotidiani o ascoltato i notiziari?

Oggi è il giorno più lungo e difficile per quanto riguarda il mio lavoro.

Oggi lo è stato di più, più del solito, sia perché i dolori si sono fatti sentire molto, sia per un’aggressione verbale che ho subito.

Aggressione che ritengo di poter definire violenza di genere anche se perpetrata da donna a donna.

Il mio lavoro consiste nell’accertare illeciti, da cui scaturiscono verbali e sanzioni. Lo faccio in un piccolo comune. Lo faccio dopo un coming out, fatto mesi fa, con l’ente per cui lavoro. Le voci corrono ma, ovviamente, non vado in giro con un cartello luminescente con scritto “donna trans!”.

Al lavoro e anche in servizio attivo parlo sempre e solo al femminile.

Il mio lavoro è spesso disprezzato. Gli insulti sono frequenti ma, a volte, ci sono anche ringraziamenti per il lavoro svolto e, addirittura, scuse dai contravventori.

C’è un gruppo familiare, titolare di un’attività, che ripetutamente viola le disposizioni che io posso accertare. Dopo un lungo periodo di “tolleranza”, in particolare nei tempi difficili del covid, sono stata insultata – ovviamente in pubblico, ad alta voce – da una componente del nucleo.

Il mio livello di “tolleranza” è calato un po’, che dite: è umano?

Oggi, doppio turno, dopo aver soprasseduto ai due accertamenti del mattino, per vicinanza della fine del turno, non posso non farne uno nel pomeriggio, per continuazione dell’illecito.

Dopo il completamento dell’operazione sopraggiunge la titolare dell’attività inveendo contro di me e appellandomi in modi che, fortunatamente, non comprendo.

A distanza ravvicinata mi accusa di stalking, di accanimento verso la sua famiglia. Le faccio notare che sono loro gli unici ad essere sanzionabili in zona, in quel momento.

Allora passa alle minacce: “andrò a parlarne in Comune… e poi racconterò dei suoi vizietti al parco” – ovviamente urlando, in piazza.

Sono del Leone e gli artigli mi escono, affilati, lunghi: “mi dica, ma di che vizietti sta parlando?!”.

“Eh, lo sa!”.

“No, non lo so proprio… ma penso di quererala per questo!”.

“Sì, querela…”, e si allontana.

Ditemi voi se questa non è intimidazione… e se vi dicessi che il marito è carabiniere e partecipa all’attività familiare in barba alle disposizioni di legge?

Ora, io vivo da donna – trans – anche al lavoro. Ma temo che molti mi vedano come uomo effeminato. Credo anche in questo episodio. Da qui l’equazione: gay → pederasta → pervertito → pedofilo?!

Perché sì, è vero che sono omosessuale – lesbica! – ma se devo essere discriminata almeno sia da donna, lesbica. E comunque ogni associazione fra omosessualità – o non eteronormatività – e perversione mi fa ribollire il sangue!
Per non parlare dell’atteggiamento intimidatorio – che dite, forse un po’ mafioso? – e che un rappresentante delle forze dell’ordine dovrebbe intervenire o quanto meno segnalare ogni violazione di cui viene a conoscenza (24/7, per quel che mi ricordo per i carabinieri)?

Per fortuna stasera, per quanto fossi cotta, c’è stata l’assemblea cittadina di Non Una Di Meno – Milano, dove ho potuto convertire la mia rabbia in partecipazione e, spero, idee.

Mo’, vabbe’ mi è venuta voglia di ascoltare questo brano… sedetevi, mettetevi comodə, molto comodə! Pura poesia: e a me torna la voglia – necessità! – di suonare la batteria.
Ogni riferimento a personaggi romanzeschi è voluto e per niente casuale.