Un altro punto a favore della mia ASST

Oggi ho una visita medica in ospedale a Varese, un’eco-color-doppler, per la precisione, per capire una nuova evoluzione del mio stato di salute e per escludere una malattia “invisibile” di cui (mi) sentirete parlare prossimamente.

All’accettazione si rivolgono a me al femminile e anche quando passo i fogli della prenotazione non noto alcuna reazione.

Vengo chiamata per cognome. In altri reparti, così come in altre sedi della stessa ASST, compreso il mio ospedale di zona, usano chiamare per nome: lo fanno, ne sono sicura, per creare maggiore empatia con lə pazientə… ma nel mio caso il nome rivela un genere che non è il mio!

La dottoressa che mi accoglie è gentilissima, dopo aver letto l’impegnativa mi osserva brevemente. Mi sono spiegata ma era già chiaro che sono in transizione, anche perché, proprio sull’impegnativa, il quesito diagnostico richiede una valutazione in terapia estroprogestinica.

Sono anche stata fatta entrare in ambulatorio come “signora” – e io ritengo di avere un passing piuttosto basso 🤔 – che poi è la stessa stanza dove circa un anno fa feci un’altra visita vascolare.

Allora il medico era un uomo, anziano, assistito da una giovane dottoressa, alla quale mi affidò subito dopo avermi vista, con un certo disagio, lasciando il contatto fisico alla collega e uscendo subito dall’ambulatorio accampando qualche scusa.

No, non sempre sono rose e fiori nella mia >ASST, ma stavolta non posso che elogiare l’accoglienza e la professionalità.

Per tutta la visita si è riferita e mi ha trattata sempre da donna, nonostante mi sia dovuta spogliare nella parte inferiore, lasciando in evidenza la zona pubica.

Lo stesso vale per lə due giovanissimə studantə – o specializzandə – che hanno assistito con attenzione a tutta la visita, senza alcun segno di disagio – oh, quanto confido nelle future generazioni!

Va tutto bene: circolazione perfetta, almeno per una donna della mia età, e soprattutto – sospirone di sollievo – nessun effetto negativo che possa inficiare la TOS.

Mi consiglia comunque un farmaco e una crema che dovrebbero alleviare i sintomi che le ho riportato.

Aggiunge anche il consiglio per una calza a leggera compressione, “tanto vedo che già usa i gambaletti, certo saranno un po’ meno belli”, e mi lascia un foglio con il modello… marcando le specifiche nel riquadro “gambaletti donna”. Dottoressa, le voglio bene, tanto! Grazie!

Rispetto a un anno fa mi domando: è una questione di genere? Le donne sono più accoglienti, gli uomini meno? Un’altra esperienza negativa l’ho avuta appunto con un anestesista maschio… Percepiscono forse un tradimento di genere, per aver osato abbandonare la fratellanza maschile?

Non saprei. Ma, tutto sommato, e nonostante qualche evento negativo subìto ed altri sentiti, oggi voglio dare un giudizio positivo alla mia azienda sanitaria, almeno sul fronte LGBT+ friendliness – non fatemene pentire, eh?

Ah, già… rimane solo un quesito: le gambe sono a posto, circolazione OK, allora perché ho quei dolori?
“È tutto solo nella mia testa?!”.

Ricordi e lacrime

Stasera, tornando a casa, alla radio (RTÉ) hanno passato Mull of Kintyre, un po’ a tradimento… perché quando la sento la mente torna istantaneamente al mio caro amico Franco. A quarant’anni fa, quando percorrevamo il lungo corso San Gottardo per andare a scuola.

E niente, mi manchi Franco! Mi mancano anche le furiose litigate per politica che avevamo saggiamente imparato ad escludere dalle nostre discussioni.
Ogni volta che sento questa canzone piango, perché mi ricorda te. Non è una novità che io pianga, ma con questa si rompono proprio gli argini, anche ora che l’ho riascoltata – per quanto preparata – per condividerla con voi.

Ora come allora, lungo corso San Gottardo, caro Franco, rispondo con See me, Feel me. E proprio con la versione live di Woodstock 1969.

Con questa, oltre alle lacrime mi rimbalzano in testa i numeri: avevamo 16-17 anni, quarant’anni fa. E io a quarant’anni, circa 16-17 anni fa mi sono scoperta.
Queste simmetrie mi affascinano e mi turbano, come il pensiero di pochi giorni fa che fra pochi mesi il mio primo figlio avrà 29 anni, la stessa età di quando l’ho avuto.

40 anni fa a 17, 17 anni fa a 40… ma fin dalla prima volta che l’ho sentita, questa canzone mi risuona sotto la pelle e mi vibra nelle ossa:
See me, feel me: capisci chi sono?
Touch me, heal me: 40 anni per toccare la mia coscienza e 17 per liberarla dal disagio.
Purtroppo nessunə, nemmeno io, ha colto questo appello per molti anni: guardami, sentimi, toccami, liberami!

Parlo di disagio perché disforia non mi piace proprio come termine: io non mi sono mai sentita malata – per quanto sia stata letteralmente “patologizzata” e abbia dovuto accettarlo, per poter iniziare, legalmente, la transizione – ma questo “heal” lo leggo da sempre come guarigione sciamanica, una liberazione dell’anima (come nel film, peraltro, IMHO).

Per chi è arrivatə fino a qui (senza chiamare il 112 per un TSO): TI VOGLIO BENE, TI AMO, GRAZIE!

Nel frattempo ho riascoltato il brano credo almeno una decina di volte, causando un disastro ecologico per l’uso smodato di fazzoletti. Chiedo scusa a Pacha Mama. 🙏

E visto che gli Who mi vibrano nelle ossa, non posso non citare anche Musica ribelle.

Roba vecchia, da boomer… ma a me piace, dà emozioni (e lacrime, tanto per cambiare)… Io ascolto volentieri anche musica del ’700 pur non essendo ancora una mummia. Provateci, giovinastrə, magari vi piace! 😉

Avvocato, ma perché con riserva?

Oggi ho chiamato l’avvocato, ancora perplessa per l’udienza che ho parzialmente metabolizzato ma ancora non riesco a comprendere com’è realmente la mia situazione.
Contrariamente a settimana scorsa, mi sembra tranquillo e cerca di rassicurarmi: è la procedura normale. È con riserva perché sarà il collegio a decidere.
Io invece avevo capito, dalle sue parole, che quel con riserva nascondesse poca convinzione sulle relazioni e l’alta probabilità di dover passare sotto il CTU.
Essendo passata una settimana sono già più tranquilla a questo riguardo, visto che mi aveva detto che nel caso avrebbe comportato una risposta abbastanza rapida. Ora non so se le sue parole siano volte solo o per lo più a rassicurarmi, ma le accolgo volentieri.
Tanto, comunque, cosa potrei fare? Cambierebbe qualcosa?
Ora non resta che aspettare che la sentenza venga depositata in cancelleria… con calma, tanto la vita è la mia.

Signora, veramente!

È successo. Prima o poi doveva succedere.

Lo so, non dovevo. Ma dopo l’udienza – se così possiamo chiamarla – non sopporto più che venga messa in dubbio la mia identità di genere: IO SONO UNA DONNA! Punto, esclamativo!

Ho appena compiuto due anni di lavoro, ieri. Lavoro nel pubblico, in appalto, con un’utenza piuttosto vasta e, lavorando in località turistica, anche molto internazionale. La maggior parte dell’utenza, forse solo escludendo chi mi ha conosciuta all’inizio di questo mio lavoro, ormai si rivolge a me al femminile, nonostante la divisa.

Verso la fine del turno sto iniziando un processo sanzionatorio. Mentre procedo arriva l’utente e mi fermo: il suo arrivo, di fatto interrompe il mio procedimento, non posso proseguire.

La signora, con figlia, è molto gentile, si scusa e dichiara di essersi resa conto del fatto vedendomi.
Mi chiede se può pagare subito.
La rassicuro: “guardi, ho già annullato tutto!”.
“Ah, quindi mi arriva a casa?”.
“No, no, non arriva niente. Ho annullato la procedura”.
“Oh, ma è davvero gentilissimo!”.
E qui mi è scappato: “Veramente: gentilissima!”.
“Ah, mi scusi, davvero gentilissima!!!” con un largo sorriso.

Ora non crediate che basti un sorriso o un po’ di gentilezza e un sorriso per intenerirmi e farmi su. Ma vi ricordo che sono nata sotto il segno del leone e, per quanto io creda poco negli oroscopi, ci vuole poco a farmi estrarre gli artigli se mi fate arrabbiare.

Nel titolo ho usato “signora” che è un termine che non mi piace, perché le signore sono quelle che non devono lavorare per vivere – citando un film di cui non mi ricordo mai il titolo, forse declinato al maschile – ma non avrebbe fatto lo stesso effetto di “Gentilissima, veramente”.

Ma davvero posso non citare Loredana Bertè, a questo punto?

Pene. Da un inferno a un altro!

Sto partecipando a una riunione online con persone con cui sto seguendo un progetto e vengo coinvolta in un altro: AdE, tutto volontariato, eh! – Chissà come mai sono sempre stanca e sempre squattrinata? 🤔

Nel nuovo progetto verrei coinvolta come grafica editoriale, attività che ancora svolgo in modalità no profit – ma che, al di là delle risatine sul fisco, mi piacerebbe davvero molto tornare a svolgere professionalmente.

Il progetto coinvolge gli organi genitali in situazioni particolari e io sarei coinvolta, oltre che per la grafica anche perché… pur essendo tutte donne, nel gruppo, io sono portatrice di pene.

No, non come l’ambasciatore o ambasciatrice, per essere gender friendly – argomento sul quale ora sono troppo nervosa per parlarne, dopo le recenti discussioni sull’articolo dell’Accademia della Crusca sul neutro, lo schwa e gli asterischi.

Quel coso lì, di cui tutti i maschi cis vanno più o meno fieri, salvo volerlo allungare o allargare.

Quel coso che le donne come me in genere non vedono l’ora di sistemare e dimenticarsi di averlo avuto. Essendo poi notoriamente lesbica, non credo di poter vantare molta esperienza sul membro.

Quindi sì, sul tratto, sul disegno, magari posso dire qualcosa. Ma sull’eticità dei testi, dei contesti e delle presentazioni grafiche… boh!?
Io sono una donna!

Pensavo di essere in un ambiente protetto. Vero: non ho fatto un coming out esplicito come mi era stato anche suggerito, ma mi sembra di essere anche abbastanza evidente, sia per aspetto che per voce: per quanto virtuali, i primi piani sono infami rispetto al passing.

Non mi aspettavo comunque un outing. Non così netto, per quanto forse non necessario e già evidente.

In ogni caso da una persona, a cui mi ero molto affezionata, così sensibile sulle differenze di genere e gli orientamenti sessuali non mi aspettavo uno scivolone di questo tipo: sono nata con un pene e quindi sono esperta di cosa possa pensare un pene, o il suo portatore, riguardo la sua raffigurazione.

Dimenticandosi una piccola parola: “disforia”, che unita a “di genere” ha generato una “diagnosi”, psichiatrica, che mi ha dato accesso al percorso di adeguamento di genere.

Per quanto io sia contraria al termine “disforia”, quando inteso patologicamente, per descrivere le persone come me, con un sesso biologico incongruente al genere percepito, la disforia esiste. La proviamo tuttə. Chi più chi meno.

La disforia è l’esatto contrario dell’euforia. Non è depressione, anche se ci assomiglia. Pensate a quando siete euforicə… ora pensate all’esatto contrario: ecco, forse ci siete riuscitə.

Quando ricordate i genitali di nascita a una persona transgender, non binaria o gender-fluid, le state inoculando una dose massiccia di disforia.
Non tutte le persone transgender hanno problemi con i propri genitali, ma il fatto che voi stiate bene con i vostri non vuol dire che sia così per tuttə!

Tutto questo mentre mi stavo rimettendo appena insieme dopo l’udienza dell’altroieri, così, per dire…

Per concludere, tanto per farvi capire il mio rapporto pene: non ho mai pensato di tagliarlo via solo perché so perfettamente quanto siano preziosi la pelle, i vasi e il glande per ricostruire una vulva, con un’uretra e una clitorid funzionanti… e chissà, magari anche una vagina!

Ma no: non lo sopporto più!
E detesto parlarne.

Nuova udienza ancora in collegamento remoto!

Squilla il telefono: è l’avvocato, penso vorrà aggiornarmi sulla prossima udienza.

Invece mi chiama per dirmi che ha ricevuto il provvedimento della giudice: anche questa udienza sarà in remoto.

Innanzitutto sono delusa perché non vedevo l’ora di incontrarlo dal vivo e ci tenevo ad abbracciarlo, una volta usciti dal tribunale, e finito il rapporto avvocato-cliente, visto che è anche un noto attivista a cui sono molto affezionata.

Poi già alla prima udienza avevo avuto brutte sensazioni: se la giudice non vuole vedermi dal vivo quale può essere il significato?

E infatti aveva già deciso di richiedere una nuova perizia psichiatrica, prima ancora di incontrarmi, vedermi dal vivo, valutarmi, ascoltarmi.

Lo sapete, sono pessimista: per come è andata la prima… avrà già deciso anche questa volta? Promossa o bocciata?

Andrò a bere tutto!

In genere, nonostante il pessimismo cronico, non sono ansiosa ma ora l’ansia cresce! Dài, manca poco. Positiva, devi essere positiva. Andrà tutto bene!
O andrò a bere tutto?!

Teleconsulto, 10+

Oggi ho avuto un teleconsulto di controllo. Pre-covid era una visita annuale, dopo un iniziale rinvio di circa sei mesi hanno iniziato a seguirmi con questa formula.

Devo raccogliere referti e risultati della diagnostica e delle analisi richieste e inviarle via e-mail entro una certa data. Dopo la verifica dei documenti inviati mi richiamano per un colloquio telefonico.

Quest’anno ho aggiunto un prologo in cui li informavo della mia incongruenza di genere, con la speranza si potessero riferire a me al femminile.

Il voto nel titolo non è per me, che sono comunque stata promossa anche se con la condizionale, ma per la dottoressa che mi ha chiamata per il teleconsulto: da subito si è rivolta a me come “signora”, sempre al femminile, e assolutamente nessun problema su argomento TOS e antiandrogeni, che sono stati comunque valutati all’interno della visita telefonica.

— Vedo però che è attenta e si prende cura di sé. Certo il peso, però…
— Eh lo so, lo so! Dovrei dimagrire un bel po’, però sono stata anche brava: ho comunque mantenuto il peso che avevo, nonostante abbia iniziato la TOS e diminuito l’attività fisica per i dolori e il fiato.
— Uhm, sì. Va bene…

Seguono una lunga serie di raccomandazioni e prescrizioni che devo passare a ritirare in ospedale – Ma come? Mi visitate per telefono per non farmi venire lì e poi devo passare a ritirare referto e ricette? Vabbe’.

In ogni caso torno a dare una valutazione molto positiva – dopo l’ultima esperienza, così così, in pronto soccorso – delle strutture sanitarie pubbliche della mia zona, per il rispetto del mio genere, incongruente con quello assegnato alla nascita e scritto sul tesserino sanitario e sulle carte.

Fra pochi giorni ho la nuova udienza in tribunale… chissà se per la prossima visita avrò i miei documenti?

Giù le mani!

Sto facendo un giro in moto e mi sembra ci siano dei problemi.

Mi fermo in una piazzetta e dei ragazzi seduti a un bar mi chiedono se ho cambiato assetto alla moto? No, di certo!

Lì vicino c’è un meccanico, mi consigliano di fargliela vedere.

Mette la moto sul trespolo, la solleva. Poco dopo mi chiama per farmi vedere: “si è spostato il freno e…”.

Mi invita a vedere le parti coinvolte. Mi chino e da dietro mi mette una mano sul seno. Protesto, cerco di ribellarmi. Mi abbraccia e mi stringe anche l’altro seno.

Cerco inutilmente di liberarmi. Si avvicina col volto al mio collo.

Gli chiedo “ma secondo te, sono una donna o un uomo?”.
“Tutt’e due”, risponde.

“E invece no, SONO UNA DONNA!!! Se non la pianti subito chiamo la polizia e ti denuncio!”. Raccolgo tutte le mie forze e riesco a forzare la presa.

Nel frattempo entrano in officina mia moglie e nostro figlio. Mi lascia subito, mi allontano.

Ero in giro da sola, non so cosa ci facciano qui ma ringrazio di cuore che siano arrivati.

Mi sveglio.
Sollievo!

Era solo un sogno, per fortuna. Ma mi sento ugualmente violata, offesa, ferita.
E non era solo una toccatina: ogni molestia è violenza!
Sono sveglia, arrabbiata e nervosa come se fosse stato reale. Meglio girarmi al largo, oggi: potrei mordere!

dito medio alzato con scritta Fuck PatriarchyNella sua vita, una donna su tre subisce violenza o molestie.
Se non ci credete, io sono una di quelle. Troppo spesso siamo invisibili, troppo spesso capita anche più di una volta, nella vita.
È una lunga battaglia culturale quella che abbiamo davanti: iniziamo a educare i nostri figli, i nostri amici, i nostri compagni. Ma anche le nostre sorelle e le nostre madri.

E poi mi sorprende…

Mi lamento, sempre, continuamente, mentre dovrei solo incensarla.

Perché sì, ripete sempre “poi si vedrà”, ma poi mi sorprende con gesti di profonda tenerezza, di affetto, di amore. Quando meno me l’aspetto e, spesso, quando ne ho più bisogno.
Un bacio, una carezza, uno sguardo…

L’amore glielo leggo anche negli occhi – almeno quando non la faccio arrabbiare – ed è profondo.

Io mi lamento e lei mi sorprende.

Io mi lamento e lei mi ama.

Io mi lamento Basta lamentarmi! Devo concentrarmi sull’amore che ho da dare e su quello che mi donerà, giorno per giorno… Poi si vedrà, ha ragione lei!

(No, sempre no, vi ho sentitə: non esageriamo! 🤭)