È tutta la settimana che mi preparo: oggi vedo il mio collega, rientrato da poco dalle ferie, ci incontriamo solo per due brevi turni condivisi ogni settimana.
Non posso aspettare oltre. Devo liberarmi, per quanto sia rischioso, non posso continuare a spacciarmi per uomo.
Sto per partire, suona il telefono: “Ciao, oggi non ci vediamo, sono in malattia. Cinque giorni. Ho la pressione a mille. Il dottore mi ha prescritto vari esami cardiologici”.
Istantaneamente ho sentito io la pressione, doppia: “Se gliel’avessi detto avrei potuto causargli un sciupùn?”. E, subito dopo: “Ancora, devo attendere ancora?! Quando riuscirò?!”.
Finire in stand-by è ormai un leit-motiv.
***
Non c’entra niente con il coming-out ma stamattina mi sono svegliata con questa, scolpita nel cervello, un buon indice della giornata:
T’amo, ma non temere:
le mie lacrime smorzano
i tizzoni della passione
e ne sciolgono le ceneri.
Odio la poesia, salvo rare eccezioni, e quindi mi odio, quando poeto.
E, in genere, piango.