Mentre mi sto godendo la vacanza ricevo una raffica di messaggi da quello che era – è stato, fu – il mio migliore amico e anche più di un fratello per quasi cinquant’anni.
Mea culpa: il 23 settembre mi partì accidentalmente dal telefono una chiamata rivolta a lui. Stavo lavorando e troppo spesso non blocco la tastiera. È un vecchio telefono che uso solo come numero privato e, normalmente, solo per ricevere.
Un fraintendimento ma da lì è partita una sequela di messaggi, inizialmente criptici poi molto fastidiosi. Dopo aver chiesto più volte di piantarla e aver anche chiesto scusa per la telefonata accidentale – a cui rispose solo con un mero sms “mandami un messaggio”, da me frainteso, visto che non sapevo di aver fatto la chiamata – ha continuato, martellante. Importuno e molesto, particolarmente nel momento felice di una breve vacanza.
Dopo averlo informato del blocco totale di tutti i contatti risponde “Ma smettila dai, verrà il tempo dei chiarimenti”. Con un tono – almeno così l’ho ricevuto – da patriarca, libero di decidere destino e tempo delle persone.
Io la porta gliel’ho già chiusa e riaperta due volte nell’ultimo anno. Con almeno altrettante proposte e possibilità di chiarimenti. E lui sa delle mia transizione da circa quindici anni, poco dopo di me e di M.
Questa chiusura è definitiva, sigillata. Anche perché dove sono nata si dice “tri vòlt bun, cujùn!”. (Serve la traduzione?)