Sogno. (Desiderio di maternità?)

Stanotte – ahimè non posso dire “ieri” – sono andata a dormire tardi, come spesso accade, per cercare di aggiornare il blog.

Mi sveglio per accompagnare M. al treno ma poi mi rimetto a letto: mi riaddormento subito e inizio a sognare.

Sono al lavoro ma le strade sono quelle di un’altra città, forse Varese. Litigo lievemente con qualche utente e mi ricordo che devo fare un lavoro alla nostra postazione in strada: montare le nuove casse dello stereo. (?)

Non abbiamo una tale postazione e tanto meno usiamo casse stereo, ma era sembrata un’ottima idea per rilassarmi dopo il diverbio.

La postazione è una serie di tavoli coperti, con muro alle spalle, con mensole su cui – appunto – ci sono le casse da cambiare.

Mi sembra di riconoscere la strada di Biumo Inferiore (Varese) dove vivono i miei suoceri e intorno alla postazione si formano le bancarelle della tipica festa del rione – ma la nostra postazione è fissa, non siamo lì per la festa. 🤔

Inizio a fare il lavoro programmato ma vengo continuamente interrotta da persone gentilissime che mi offrono aiuto, con simpatia, ma con una mia certa insofferenza.

Un signore mi offre un “bicchiere”, credo di vino, e rispondo che sono a posto con l’acqua che ho – peraltro sto lavorando!

Mi ricordo di dover prendere le medicine, le verso sulla mano: sono tantissime! Cerco di metterle in bocca ma non ci stanno tutte. Cerco l’acqua per mandarle giù ma le prime due o tre bottiglie sembrano vuote… finalmente ne trovo una con ancora acqua a sufficienza.

Inizio a cambiare la seconda cassa e mi accorgo che, nel frattempo, quella vecchia è sparita: ne sono stupita perché quando sono arrivata e ho iniziato al lavoro non me ne ero accorta.

Mentre osservo lo spazio dove c’era la cassa, arriva una signora che mi offre una fetta di torta al cioccolato di ottimo aspetto.
“Grazie ma non posso proprio: mi hanno messa a dieta!”.
“Eh, i dottori… le diete!”.
“Sa, un po’ di diabete, colesterolo… insomma: gli acciacchi dell’età”.
“Eh, signora mia, che vuole? Una volta le avrebbero consigliato di fare un figlio, ma ora chi si può permettere di farli, con quello che costano?!”.

Se ne va. Io mi sveglio.

Desiderio di maternità? Ogni tanto ci penso, ultimamente. E mi scopro spesso a guardare con grande gioia i volti dei e delle neonatə. In carrozzina o in braccio alle mamme. Effetto degli ormoni?

Ho sempre invidiato il sentirsi crescere dentro la creatura. Poi mi ricordo di quello che segue, le notti, la fatica, le preoccupazioni, … l’adolescenza!!!

No, sono troppo vecchia per un figlio! Ho iniziato a desiderarli intorno ai venti – ventun anni e mi ero posta il limite assoluto prima dei quaranta. Avevo ragione: poi le energie mancano. Sono sempre stata convinta che bisogna poter giocare e crescere insieme a loro.

È parente?

Oggi chiamo il mio dottore per fare la periodica ricarica di farmaci e la prescrizione per una nuova visita psichiatrica di controllo, per poter avere la relazione richiesta dalla giudice.

Il sistema non mi riconosce. Ultimamente succede spesso, deve scollegare e far ripartire il programma – ormai sono esperta. 😉

Già mi chiese se per caso avessi già cambiato l’anagrafica, “purtroppo no, non ancora”.

Riavviato il programma, finalmente mi trova per cognome…

“Ok, trovata, ma vedo solo M…? È un suo parente?”.
“No dottore, è il mio nome anagrafico”. 😢
“Ah, già, non ha ancora cambiato niente, vero?”.
“No, purtroppo manca ancora un po’. Martedì ho avuto la prima udienza in tribunale e a questo proposito mi hanno chiesto una nuova relazione psichiatrica, mi serve una visita…”.

Poi mi chiede come funzionerà, quali saranno i passaggi: sono la sua prima – e unica – paziente trans. È sempre stato molto gentile, accogliente e interessato al percorso. Gli spiego i passaggi burocratici che serviranno e gli prometto di tenerlo aggiornato.

Sperando, forse un po’ egoisticamente, di concludere il percorso prima che lui vada in pensione… ma temo manchi poco, al suo pensionamento!

Pride: orgoglio?

Oggi ho perso il secondo di una coppia di orecchini che comprai tempo fa, con motivo “pride”: fondo rainbow con simbolo lesbico.

Il primo mi cadde tempo fa in camera da letto. Si deve essere infilato in qualche interstizio diabolico dei mobili.

Oggi mi sono accorta del secondo, al lavoro, scendendo dall’auto: ho sentito qualcosa all’orecchio, la farfallina era ancora attaccata all’orecchio ma l’orecchino – con tanto di perno – non c’era più.

L’ho cercato a lungo di fianco alla macchina: come può essere caduto l’orecchino prima della farfallina? Boh!

Credo che a volte alcune cose, alcune oggetti, specie quelli a cui ci si affeziona maggiormente – come questo paio di orecchini! – scompaiano per un motivo.
Magari non sono scomparsi, ma si sono spostati in altra dimensione?

Il motivo va cercato nella vanità? O nell’orgoglio?

Be’ sì, all’orgoglio ho pensato: ieri, il giorno della mia prima udienza per la riassegnazione anagrafica e chirurgica, era anche l’inizio del mese del Pride.

Primo di giugno, come l’anno scorso, quando iniziai la TOS.
Pride: orgoglio.

Orgoglio: un peccato grave, secondo la Chiesa.
Orgoglio: ne ha rovinati più lui che il petrolio, secondo Vasco Rossi.
Orgoglio LGBTQIA+: questo è il Pride.

Mi sono chiesta: “sono orgogliosa di essere trans?”.

No! Perché dovrei doverlo? Essere trans è, per me, una normale condizione umana. Non me ne vergogno ma non ne posso neanche essere orgogliosa.

Sono invece orgogliosa di combattere socialmente e politicamente per il mio diritto di esistere, di essere rispettata, di non essere insultata o picchiata, perché qualcuno mi ritiene “diversa”.

Orgogliosa di combattere, oltre che per me, per e al fianco di tutte le persone LGBTQIA+, e non solo: anche per e al fianco di tutte le donnə, di tutte lə personə discriminate per etnia, religione, abilità, genere.

Mi manca quell’orecchino, anzi mi manca quel paio di orecchini. Ma sono un motivo, uno stimolo in più di orgoglio per la mia, la nostra lotta. Anche se non li posseggo più. E forse lo sono anche maggiormente, proprio per non esserne più in possesso: li ho persi ma non ho perso l’orgoglio che rappresentavano.

Non posso che concludere rimandando, ormai ritualmente, al discorso di Nomi, che citai in occasione dell’ultimo Pride celebrato in piazza: ci ritorneremo, per le strade!

Non posso però dimenticare che oggi è anche la festa della Repubblica, il 75o anniversario del referendum che la sancì, e del primo voto concesso, in Italia, alle donne.

Viva la Repubblica! Viva lə Donnə!

E già che ci siamo: abbasso il cis-etero-patriarcato! 🏳️‍🌈

Prima udienza in tribunale

Oggi è il giorno. Atteso a lungo, finalmente è arrivato.

Mi sono alzata presto, ben prima che suonasse la sveglia, volevo prepararmi, essere bella, e ce ne vuole! Ma non riuscirò a ripetere il risultato dell’altro giorno. Forse sono troppo agitata, forse l’idea di essere filtrata da una webcam diminuisce l’impegno, e la mie capacità di makeup sono scarse.

Udienza alle 9.30, collegamento previsto, d’accordo con l’avvocato, dalle 9.15. Poco dopo le 9 provo ad aprire il link. Rimango in attesa.

Dopo un quarto d’ora provo a contattare l’avvocato; neanche lui riesce a collegarsi, parla con la cancelleria, contatta la giudice.

A un certo punto mi riferisce che lui riesce a entrare nella stanza, dopo aver reinstallato Teams su un vecchio PC. Io continuo a tentare ma non riesco ancora. Provo a installare la app sul telefono, sperando che regga.

Alla fine riesco a collegarmi, almeno per qualche minuto di presenza: il problema era che via PC – Windows 10 – per accedere a Teams devo usare un account, ma per accedere alla stanza – per come allestita – dovevo essere un’utente ospite, anonima.

Mi rimane qualche perplessità a riguardo, anche perché, a un certo punto, è apparsa in udienza un’altra avvocata che non c’entrava assolutamente niente… alla faccia della mia privacy. Ok, un’udienza è sempre un atto pubblico, ma se è a porte chiuse le porte devo essere chiuse, anche quelle virtuali.

L’importante comunque è che sia riuscita a collegarmi e che l’avvocato fosse riuscito a farlo da prima.

I miei timori erano fondati e la richiesta di CTU è stata avanzata dalla giudice, con opportuna opposizione del mio avvocato che, grazie alla sua bravura ed esperienza, è riuscito a far ritirare la richiesta.

Una volta collegata, la giudice mi ha chiesto se volevo rilasciare una dichiarazione. L’avvocato mi aveva raccomandato di arrivare rilassata, ma dopo tutto lo stress accumulato per cercare di collegarmi ero agitatissima.

Lì per lì non mi veniva niente, francamente speravo in una domanda a cui rispondere… Mi chiede se confermo quanto riferito dall’avvocato e sì, credo che abbia fornito una descrizione molto accurata della mia situazione, nella sua relazione.

Aggiungo che so di essere in età avanzata, che questo potrà comportare problemi per la fase chirurgica, ma che troppo tardi ho scoperto che orientamento sessuale e identità di genere sono caratteristiche ben distinte e che potevo essere donna e lesbica pur essendo nata maschio, prendendo finalmente coscienza di me quando ormai avevo circa quarant’anni.
Poi ho atteso, per amore dei miei figli, che raggiungessero un’età abbastanza adulta prima comunicargli la mia volontà, la mia necessità di adeguamento all’identità di genere. E che comunque sono ormai decisa e determinata a proseguire il mio percorso, per completarlo e vivere finalmente come donna a tutti gli effetti.

Ascoltate le mie parole la giudice ha fissato un’udienza conclusiva (spero di aver capito bene il termine, perché “conclusiva” mi piace) per fine settembre.

Dovrò però presentare, per quella data, una nuova relazione psichiatrica, rilasciata da autorità pubblica o convenzionata e accreditata, in cui risulti che oltre alla disforia e all’esclusione di altre patologie psichiatriche, sia accertato che la mia volontà è determinata e irrevocabile.

A poco è servita la replica del mio avvocato, che non sono esattamente una ragazzina e che alla mia età le cose sono in grado di ponderare con maturità e consapevolezza. Ma almeno un riconoscimento, da parte della giudice, della mia maturità e della ponderatezza della decisione dovrebbero essere finite a verbale.

Chiusa la video-chiamata ho parlato telefonicamente con l’avvocato per circa mezz’ora sull’andamento dell’udienza e sulle cose da fare.

Poi, come un palloncino che ha perso il legaccio, mi sono sgonfiata velocemente – ma senza pernacchie – e afflosciata, vuota.

Sono rimasta priva di energie fino a sera, pur essendomi concessa una pennica post-prandiale.

Devo ringraziare il laboratorio di Rete Donne Transfemminista, questa sera con tema “Questione di potere – cultura dello stupro e consenso” alla quale ho voluto partecipare nonostante la stanchezza e l’assenza totale di forze fisiche e psichiche.

E ho fatto bene, perché invece di addormentarmi sulla tastiera mi sono ricaricata e, come ho commentato, nel pour parler successivo all’incontro, “mi hanno ricaricato l’anima”.

Trovo talmente utili e costruttivi questi incontri di formazione che voglio condividere con voi il calendario dei laboratori e la possibilità di rivedere tutti gli incontri che si sono già tenuti, dal loro canale youtube.

Tornando all’udienza, non è andata male e non è andata bene.

Ora serve un rinnovato impegno e avrò bisogno di tutto il vostro sostegno… che sono già sicura di avere.

Vi voglio bene, e la vostra vicinanza l’ho sentita, la sento. Grazie! ❤