Che barba!

Ebbene sì: che barba! Ma con oggi è finita, almeno la parte laser.
Dopo otto sedute (otto!) tutta la parte nera e scura di quei pelacci che inopportunamente crescevano sul mio volto è stata sconfitta.

Il totale? Novecento euro + 16 di bollo sulle fatture: 916,00€.
Che no, non potrò scaricare dalle tasse perché sarò ancora incapiente, come l’anno scorso…

La legge 164 del 1982 mette, teoricamente, le cure e le spese mediche necessarie a carico del SSN. Ci sono voluti trentotto anni per avere una delibera dell’AIFA per la gratuità della dispensa delle terapie ormonali – peraltro molto perfettibile e decisamente inapplicata in molte Regioni – ma la barba, per una donna, pare essere solo un problema estetico e, come tale, non previsto dal SSN.

Non entro nel merito della disponibilità e dei tempi di attesa per le chirurgie necessarie per le rettifiche sessuali, ché già è una barba parlare di barba.
Ma almeno un altro capitolo l’ho chiuso.

Rimane, ahimè, ancora molto pelo bianco sul mio viso. E per quello il laser, neanche quello potente – e doloroso – all’alessandrite può niente e dovrò procedere con l’elettrocoagulazione.

Altrettanto dolorosa – spero non più – del laser. Ma che dovrà attendere perché anche quella costa. E i risparmi sono finiti, con pesanti nubi grigie all’orizzonte.

Perlomeno il pelo bianco, rasato, con un filo di fondo tinta si nasconde abbastanza facilmente.

Certo che se penso a quanto ho speso, negli ultimi quarant’anni fra rasoi elettrici e manuali, lamette, sapone e schiuma… novecento euro non sono poi così tanti: mannaggi’amme, non mi potevo scoprire prima?

Ho deciso, sin dall’inizio, che in questo blog non dovesse entrare alcuna pubblicità e quindi non citerò chi mi ha seguita per l’epilazione definitiva del volto ma, visto che mi sono trovata molto bene, e grazie a un prezioso consiglio di una cara amica, sarò ben lieta di darvi, privatamente e su richiesta, indicazioni per una vostra eventuale, personale valutazione del centro a cui mi sono rivolta.

Visita senologica

Progetto salute donna, locandinaÈ circa dall’inizio del mese che ho ricevuto l’invito dal sistema informativo dell’Unione di Comuni dove vivo.
Come ogni ottobre ci sono iniziative di prevenzione sul tumore al seno, e propongono una visita senologica gratuita.
L’ho proposta a mia moglie – che però è allergica alle visite mediche e ha glissato – e poi ho iniziato a pensarci per me.
Insomma: il seno ormai ce l’ho anch’io, le ghiandole mammarie sono sviluppate, non so quanto ma ci sono e si sentono.

Problemino: il mio codice fiscale è ancora maschile, mi accetteranno?
Anche per questo motivo ho atteso giorni e giorni poi mi sono decisa: chiamo e al massimo mi trattano male.

Spiego la mia situazione, che sono in TOS da sedici mesi, le ghiandole sono sviluppate ma il codice fiscale… non so se io sia prevista per queste visite?

La gentilissima infermiera – o segretaria – che ha preso la chiamata era leggermente imbarazzata ma, più che altro, perché non sapeva rispondere alla mia domanda. Mi dice che porrà la questione alla dottoressa e mi farà sapere.
Poche ore dopo mi richiama. È sicuramente il caso che mi faccia controllare anch’io, solo che è ancora un po’ presto e mi consiglia di aspettare qualche mese e di richiamare dopo giugno.

A giugno compirò due anni di TOS e due anni sono effettivamente considerati, da quel che ho letto, il punto culmine, in media, del risultato raggiungibile per lo sviluppo del seno in TOS femminilizzante.

Sì, sono ancora una ragazza adolescente.
A giugno sarò definitivamente una donna.
Detto così, da un ambiente medico estraneo alla transizione, mi rinfranca.

Dolore. Sensibile, invisibile.

Oggi, dopo un lungo lavoro di preparazione, dovrei essere in piazza con lə compagnə di Non una di meno – Milano, per il Presidio Sensibile-Invisibile, che si tiene oggi in molte città italiane.

Era previsto per settimana scorsa e avevo preso le ferie. Per i fattacci di Roma, con l’aggressione fascista alla sede della CGIL del 9 ottobre, lo scorso sabato è stato deciso, giustamente, di lasciare spazio alla risposta antifascista, che comunque avrebbe oscurato le nostre rivendicazioni.

Purtroppo, per il mio lavoro, il fine settimana sono i giorni più intensi e sapevo che non avrei avuto un altro giorno di ferie, di sabato.

Non potendo essere in piazza ho voluto comunque partecipare alla mobilitazione virtuale e mandare un mio contributo, da leggere in piazza fra le tante testimonianze.

Il testo lo riporto qui, facendo un nuovo, ennesimo coming out, questa volta non per il mio genere né per il mio orientamento sessuale. Odio gli outing, lo sapete, ma particolarmente in questo caso, anche se il personale è politico, vi prego di tacere su di me, a meno che non sia per uno scopo politico identico al mio… ma io sono l’unica che può decidere se e dove lo sia o meno.

Non ho una diagnosi di fibromialgia, perché il percorso diagnostico e terapeutico è per lo più privatistico e al momento non me lo posso permettere, ma soprattutto perché sono decisamente in una fase di “rifiuto” della malattia.
Soffro di numerose patologie, che in parte potrebbero spiegare alcuni tra i cento sintomi della fibro, ma sono stufa di visite, analisi, scansioni e di sale d’aspetto.

Sono una donna XY, transgender, in attesa che dopo un lungo percorso clinico e legale lo Stato, con sentenza del Tribunale, mi riconosca anagraficamente come donna. Come persona transgender sono stata patologizzata, analizzata, indagata, giudicata, criticata, anche per il mio orientamento sessuale.

Per questo a volte faccio fatica, psicologicamente, oltre che fisicamente, a recarmi negli ospedali. Anche perché tuttə mi parlano al femminile finché non leggono il mio codice fiscale. Poi, salvo sensibilità individuali del personale, vengo chiamata ad alta voce con il mio nome anagrafico, con sbigottimento dellə pazienti in attesa e mio grande imbarazzo.

Avevo già considerato anni fa la possibilità di soffrire di fibromialgia ma i sintomi erano lievi e scartai l’idea, pensando di essere solo stata influenzata dai racconti di un’amica che ne soffre da molto tempo. D’altra parte, non è tutto solo nella nostra testa?

Che cos’è la fibromialgia?

Per me sono formicolii diffusi agli arti, a volte al volto, che diventano parestesie più o meno persistenti, crampi, contratture.

Rumori, quotidiani, che innescano cefalee, a volte un profondo stato confusionale, vertigini, capogiri… e stanchezza, spossatezza totale, a volte senza riuscire a dormire.

E dolore!

Tuttə noi proviamo dolore: denti, testa, scottature, mignolini pestati sugli spigoli… per le donne e le persone AFAB il dolore è troppo spesso considerato normale e banalizzato. Io sono una donna AMAB, il dolore è parte naturale di me? No! Non è parte naturale di nessun*!

Eppure, anche al dolore ci si abitua: sono in terapia del dolore con ossicodone – farmaco che odio assumere – per problemi alle vertebre lombari, ma lo ritengo sotto-controllo nonostante sia arrivata a dichiarare fra 9 e 10 sulla scala della percezione del dolore.

Il dolore che sto provando ora, però, con un’acutizzazione proprio in questo periodo, è di un altro tipo, di un’altra dimensione. Un dolore a volte “TOTALE”, diffuso, che lascia senza fiato: il cervello smette di funzionare ed elabora solo quello. Che sia reale o no, poco importa: non esiste nient’altro!

Nell’evento più brutto, recente, mi sono sentita come investita da un treno merci. Solo che invece del semplice impatto, doloroso ma istantaneo e fatale, questo treno fantasma, lungo e pesante, mi ha attraversata nel corpo, strappandomi l’anima. Non so dire se sia durato secondi, minuti o un’eternità… Alla fine mi ha lasciata completamente vuota, priva di energie, e mi sono afflosciata sul letto che sono fortunosamente riuscita a raggiungere. E meno male che ero a casa!

È stata la prima volta in cui sono arrivata a certi livelli. Spero sia solo un picco di una fase acuta, per il resto riesco ancora a condurre una vita quasi normale.

Ed è per questo, forse, che rifiuto questa nuova malattia: per avere una vita normale. Diritto che dovrebbe essere universale. Per questo mi unisco alla richiesta per un concreto impegno della ricerca scientifica e nella presa in carico da parte del SSN di queste malattie invisibili: non ci vedete – perché non ci credete – ma esistiamo!

Per lavoro non posso essere in piazza con voi ma voglio mandare un abbraccio a tuttə lə sorellə – includendo con questo termine tutti i generi e i non-generi, in una piena sorellanza transfemminista – che condividono con me queste terribili esperienze e a tuttə quellə sorellə che sono qua per solidarietà, come preziose alleatə.

Grazie!
chi.ca

L’evento è finito, il percorso per avere il riconoscimento di queste malattie invisibili invece è appena iniziato. Vi chiedo di unirvi a me, sia come compagnə di esperienze e di viaggio che come alleatə.

Il commento di tutte le persone che vi hanno partecipato o che l’hanno seguito è stato: “forte, intenso, potente, grandi emozioni”, per cui vi consiglio di cercare video e foto: i link sono tantissimi e farei torto ai più se ne citassi solo qualcuno.

Vi ringrazio ancora!
Forse ringrazio e mi scuso troppo spesso, ultimamente, ma un “grazie” difficilmente disturba. 🙏

Un altro punto a favore della mia ASST

Oggi ho una visita medica in ospedale a Varese, un’eco-color-doppler, per la precisione, per capire una nuova evoluzione del mio stato di salute e per escludere una malattia “invisibile” di cui (mi) sentirete parlare prossimamente.

All’accettazione si rivolgono a me al femminile e anche quando passo i fogli della prenotazione non noto alcuna reazione.

Vengo chiamata per cognome. In altri reparti, così come in altre sedi della stessa ASST, compreso il mio ospedale di zona, usano chiamare per nome: lo fanno, ne sono sicura, per creare maggiore empatia con lə pazientə… ma nel mio caso il nome rivela un genere che non è il mio!

La dottoressa che mi accoglie è gentilissima, dopo aver letto l’impegnativa mi osserva brevemente. Mi sono spiegata ma era già chiaro che sono in transizione, anche perché, proprio sull’impegnativa, il quesito diagnostico richiede una valutazione in terapia estroprogestinica.

Sono anche stata fatta entrare in ambulatorio come “signora” – e io ritengo di avere un passing piuttosto basso 🤔 – che poi è la stessa stanza dove circa un anno fa feci un’altra visita vascolare.

Allora il medico era un uomo, anziano, assistito da una giovane dottoressa, alla quale mi affidò subito dopo avermi vista, con un certo disagio, lasciando il contatto fisico alla collega e uscendo subito dall’ambulatorio accampando qualche scusa.

No, non sempre sono rose e fiori nella mia >ASST, ma stavolta non posso che elogiare l’accoglienza e la professionalità.

Per tutta la visita si è riferita e mi ha trattata sempre da donna, nonostante mi sia dovuta spogliare nella parte inferiore, lasciando in evidenza la zona pubica.

Lo stesso vale per lə due giovanissimə studantə – o specializzandə – che hanno assistito con attenzione a tutta la visita, senza alcun segno di disagio – oh, quanto confido nelle future generazioni!

Va tutto bene: circolazione perfetta, almeno per una donna della mia età, e soprattutto – sospirone di sollievo – nessun effetto negativo che possa inficiare la TOS.

Mi consiglia comunque un farmaco e una crema che dovrebbero alleviare i sintomi che le ho riportato.

Aggiunge anche il consiglio per una calza a leggera compressione, “tanto vedo che già usa i gambaletti, certo saranno un po’ meno belli”, e mi lascia un foglio con il modello… marcando le specifiche nel riquadro “gambaletti donna”. Dottoressa, le voglio bene, tanto! Grazie!

Rispetto a un anno fa mi domando: è una questione di genere? Le donne sono più accoglienti, gli uomini meno? Un’altra esperienza negativa l’ho avuta appunto con un anestesista maschio… Percepiscono forse un tradimento di genere, per aver osato abbandonare la fratellanza maschile?

Non saprei. Ma, tutto sommato, e nonostante qualche evento negativo subìto ed altri sentiti, oggi voglio dare un giudizio positivo alla mia azienda sanitaria, almeno sul fronte LGBT+ friendliness – non fatemene pentire, eh?

Ah, già… rimane solo un quesito: le gambe sono a posto, circolazione OK, allora perché ho quei dolori?
“È tutto solo nella mia testa?!”.

Ricordi e lacrime

Stasera, tornando a casa, alla radio (RTÉ) hanno passato Mull of Kintyre, un po’ a tradimento… perché quando la sento la mente torna istantaneamente al mio caro amico Franco. A quarant’anni fa, quando percorrevamo il lungo corso San Gottardo per andare a scuola.

E niente, mi manchi Franco! Mi mancano anche le furiose litigate per politica che avevamo saggiamente imparato ad escludere dalle nostre discussioni.
Ogni volta che sento questa canzone piango, perché mi ricorda te. Non è una novità che io pianga, ma con questa si rompono proprio gli argini, anche ora che l’ho riascoltata – per quanto preparata – per condividerla con voi.

Ora come allora, lungo corso San Gottardo, caro Franco, rispondo con See me, Feel me. E proprio con la versione live di Woodstock 1969.

Con questa, oltre alle lacrime mi rimbalzano in testa i numeri: avevamo 16-17 anni, quarant’anni fa. E io a quarant’anni, circa 16-17 anni fa mi sono scoperta.
Queste simmetrie mi affascinano e mi turbano, come il pensiero di pochi giorni fa che fra pochi mesi il mio primo figlio avrà 29 anni, la stessa età di quando l’ho avuto.

40 anni fa a 17, 17 anni fa a 40… ma fin dalla prima volta che l’ho sentita, questa canzone mi risuona sotto la pelle e mi vibra nelle ossa:
See me, feel me: capisci chi sono?
Touch me, heal me: 40 anni per toccare la mia coscienza e 17 per liberarla dal disagio.
Purtroppo nessunə, nemmeno io, ha colto questo appello per molti anni: guardami, sentimi, toccami, liberami!

Parlo di disagio perché disforia non mi piace proprio come termine: io non mi sono mai sentita malata – per quanto sia stata letteralmente “patologizzata” e abbia dovuto accettarlo, per poter iniziare, legalmente, la transizione – ma questo “heal” lo leggo da sempre come guarigione sciamanica, una liberazione dell’anima (come nel film, peraltro, IMHO).

Per chi è arrivatə fino a qui (senza chiamare il 112 per un TSO): TI VOGLIO BENE, TI AMO, GRAZIE!

Nel frattempo ho riascoltato il brano credo almeno una decina di volte, causando un disastro ecologico per l’uso smodato di fazzoletti. Chiedo scusa a Pacha Mama. 🙏

E visto che gli Who mi vibrano nelle ossa, non posso non citare anche Musica ribelle.

Roba vecchia, da boomer… ma a me piace, dà emozioni (e lacrime, tanto per cambiare)… Io ascolto volentieri anche musica del ’700 pur non essendo ancora una mummia. Provateci, giovinastrə, magari vi piace! 😉

Avvocato, ma perché con riserva?

Oggi ho chiamato l’avvocato, ancora perplessa per l’udienza che ho parzialmente metabolizzato ma ancora non riesco a comprendere com’è realmente la mia situazione.
Contrariamente a settimana scorsa, mi sembra tranquillo e cerca di rassicurarmi: è la procedura normale. È con riserva perché sarà il collegio a decidere.
Io invece avevo capito, dalle sue parole, che quel con riserva nascondesse poca convinzione sulle relazioni e l’alta probabilità di dover passare sotto il CTU.
Essendo passata una settimana sono già più tranquilla a questo riguardo, visto che mi aveva detto che nel caso avrebbe comportato una risposta abbastanza rapida. Ora non so se le sue parole siano volte solo o per lo più a rassicurarmi, ma le accolgo volentieri.
Tanto, comunque, cosa potrei fare? Cambierebbe qualcosa?
Ora non resta che aspettare che la sentenza venga depositata in cancelleria… con calma, tanto la vita è la mia.

Signora, veramente!

È successo. Prima o poi doveva succedere.

Lo so, non dovevo. Ma dopo l’udienza – se così possiamo chiamarla – non sopporto più che venga messa in dubbio la mia identità di genere: IO SONO UNA DONNA! Punto, esclamativo!

Ho appena compiuto due anni di lavoro, ieri. Lavoro nel pubblico, in appalto, con un’utenza piuttosto vasta e, lavorando in località turistica, anche molto internazionale. La maggior parte dell’utenza, forse solo escludendo chi mi ha conosciuta all’inizio di questo mio lavoro, ormai si rivolge a me al femminile, nonostante la divisa.

Verso la fine del turno sto iniziando un processo sanzionatorio. Mentre procedo arriva l’utente e mi fermo: il suo arrivo, di fatto interrompe il mio procedimento, non posso proseguire.

La signora, con figlia, è molto gentile, si scusa e dichiara di essersi resa conto del fatto vedendomi.
Mi chiede se può pagare subito.
La rassicuro: “guardi, ho già annullato tutto!”.
“Ah, quindi mi arriva a casa?”.
“No, no, non arriva niente. Ho annullato la procedura”.
“Oh, ma è davvero gentilissimo!”.
E qui mi è scappato: “Veramente: gentilissima!”.
“Ah, mi scusi, davvero gentilissima!!!” con un largo sorriso.

Ora non crediate che basti un sorriso o un po’ di gentilezza e un sorriso per intenerirmi e farmi su. Ma vi ricordo che sono nata sotto il segno del leone e, per quanto io creda poco negli oroscopi, ci vuole poco a farmi estrarre gli artigli se mi fate arrabbiare.

Nel titolo ho usato “signora” che è un termine che non mi piace, perché le signore sono quelle che non devono lavorare per vivere – citando un film di cui non mi ricordo mai il titolo, forse declinato al maschile – ma non avrebbe fatto lo stesso effetto di “Gentilissima, veramente”.

Ma davvero posso non citare Loredana Bertè, a questo punto?