Godiamoci la serata

“Imbarazzo” è una parola che ricorre troppo spesso in questo racconto. Molto più di quello che vorrei. Anche se, forse, meno che in altre transizioni.

Fortunatamente ho controllato prima di usarlo nuovamente come titolo.

È passato giusto un mese dalla passeggiata con M., quando ho scoperto che al lavoro si riferisce a me ancora al maschile, ché solo la famiglia proprietaria – di cui fa praticamente parte – sa della mia transizione.

Oggi ho lavorato, sono stanca. E un po’ delusa: T. il mio primogenito – dopo vari rinvii e spostamenti – doveva venire a trovarci stasera, ma ha rinviato al pranzo e domani sarò di corsa subito dopo. F. doveva tornare dal mare e invece ha prolungato la vacanza.

Propongo a M., già che siamo coppietta, di andare a mangiarci una pizza e farci coccolare un po’… gli stipendi sono arrivati da poco e per il momento i soldi ci sono ancora.

Ci accomodiamo, ordiniamo e iniziamo a parlare. Domani ho l’ultima seduta di laser al volto, per la barba. La sesta.

Normalmente torniamo insieme, visto che è nella stessa città di dove lavora, ma domani sarà un’ora prima del previsto e, tornando dal trattamento precedente, invece di farmi raggiungere da lei, come al solito, le dissi che sarei passata io a prenderla in ditta. Poi, il giorno dopo, scoprii che in ditta non sono ancora “Chiara”.

“Allora, domani passi a prendermi?”.
“Hai parlato di me?”.
“No!”.
“Allora ci vediamo, come sempre, al parcheggio… al più ti vengo incontro, ma in ditta non ci vengo”.
“Perché?”
“Perché evidentemente ti imbarazzo, se in un mese non sei riuscita a parlare di me e là sono ancora deadname”.

Si mostra arrabbiata, offesa. E a domanda lo conferma.
“Be’, io sono più offesa di te: è evidente che ti vergogni di me!”.
Silenzio.

Ci salva la cameriera.
Dopo un breve silenzio e qualche profondo respiro cambiamo discorso: godiamoci la serata!

Ma sono molto, molto delusa: lei mi ha sempre assicurato che non aveva nessun problema per me. Neanche di essere indicata come lesbica, pur non essendolo – e ben sapendo di non esserlo – ma evidentemente non è così.
Io sono Chiara per tutto il mondo. Ma forse non per il suo mondo.
Che una volta era il nostro mondo.

A passeggio

Una volta andavamo spesso, a camminare insieme.

Una volta avevo un altro fisico. Un altro passo. Sono arrivata a fare, a piedi, il giro completo della Ciclabile del Lago di Varese, 28 Km.
Poi sono successe tante cose, ma questa è un’altra storia, e qui si parla della mia transizione.

In tanti anni di disoccupazione, ogni volta che potevo, sono sempre andata a camminare… da disoccupata lo facevo spesso – ginocchia permettendo – e ogni volta che poteva, veniva anche M. con me.
Una volta ero io a rallentare il passo, ora arranco… ma, l’ho già detto: questa è un’altra storia!

Fatto sta che circa due anni fa ho finalmente rincominciato a lavorare e, per lavoro, cammino normalmente quattro, otto ma anche dieci e passa Km al giorno.

Contemporaneamente la nostra vicina, grande amica di M., voleva iniziare a camminare – camminare fa bene, tanto!!! – e quindi hanno iniziato a camminare loro due per piacere/salute e io per dovere/salute.

Chiedo nuovamente scusa per la lunga parentesi privata ma mi sembrava necessaria per spiegare come mai stamattina mi sia sembrato estremamente piacevole tornare a camminare con M.

Sì, è già capitato, in questi anni, di fare passeggiate insieme, ma stamattina ero io a soddisfare una sua necessità, forse solo volontà… comunque ad accompagnarla. Ed è stato piacevole tornare a camminare insieme. Nonostante il mio passo, stanco. E che in pomeriggio, per lavoro, saranno almeno altri 8 Km.

Da tempo avremmo – avrei! – bisogno di fare una lunga, rilassata, profonda riflessione di coppia. Ho alcune domande, in particolare per lei, e spunti di riflessione per tutta la famiglia.

Lo so, bisognerebbe sempre godersi il momento. Stiamo passeggiando insieme: è bellissimo, anche se, ormai, tenersi per mano, è un lontanissimo ricordo.

Entra in argomento della sua compagine del treno. Il solito più e meno. Io, però vado spesso ad accompagnarla e a prenderla al treno. Da anni ci vado, a volte, con il mio solito filo di trucco. Da tempo ci vado anche in gonna. Finora non sono mai scesa dalla macchina, con la gonna. Le chiedo se ha parlato di me al suo gruppo di viaggio. “No. Magari con X e Y potrei dirlo, ma sai che Z è leghista”.

“Ah! Quindi è meglio se non scendo dall’auto, se vengo in gonna?”.
Silenzio. Ma siamo già uscite insieme, con me in gonna, anche a fare la spesa.

A questo punto affondo: “Ma al lavoro parli di me come ‘Chiara’?”.
Apro un’altra parentesi personale: ho lavorato anni fa, come operaia, lei contabile, nella stessa ditta, anche se allora ero “operaio”.

“Eh, io l’ho detto solo alla famiglia – i titolari – non so se l’hanno detto agli altri”. È una ditta familiare, ci sono altri due operai e quello che era il mio capo-officina, allora, che è appena ritornato in ditta “parla dei ‘ghei’ come ‘quelli là non li capisco’”. Ai tempi mi stimava. Ora che sono lesbica?

“Forse sarebbe più facile introdurmi se parlassi di me come ‘Chiara’”.
“Sì, forse. Potrei… Ma, sai, faccio fatica a riferirmi a te così, dopo vent’anni, e non credo che, no, anzi: non riuscirei mai a rifermi a te come ‘mia moglie’”.
“Be’, chiamami come vuoi, basta che non ti riferisca più a me come ‘tuo marito’, questo mi ferirebbe molto, mi farebbe molto male”.
“Ah!”.

Ok, camminiamo.

Anche perché già così sono arrivata con poco fiato alla macchina, e oggi pomeriggio mi aspettano altri chilometri, al lavoro.
E le domande sarebbero troppe.

A cominciare da: “mi ami ancora?”, già chiesto l’altra sera con un “sì”, secco, istantaneo come risposta.

Per poi finire con un, forse melodrammatico: “ma sei sicura di non voler sciogliere il matrimonio e rimanere in unione?”.

Perché, te l’ho già detto: nell’unione civile, magari non sarò ufficialmente tua “moglie”, forse neanche la tua “coniuge”, ma sarà – e questo te l’ho spiegato bene! – un’unione omosessuale. Sei davvero sicura? Io sono lesbica, tu no!
Ti amo. Tu?
Ti vergogni di me?

Sì, abbiamo bisogno di parlare e, nonostante ripetuti inviti, non leggi queste pagine, neanche quando proposi di stamparle per te.

Lasciamo maturare il pargolo, poi partirà per le vacanze e avremo tempo e modo di parlare. Spero.