CPS: respinta al mittente!

Ieri pomeriggio, verso sera, ho smesso finalmente di piangere, dopo tre giorni e, soprattutto, due notti.

Mi sono ripresa.
Mi “ero” ripresa.

Stamattina sono andata al CPS per portare il verbale dell’udienza e lettera dell’avocato per chiarire, come richiesto da loro, cosa mi serve da loro, con la speranza di poter abbreviare i tempi.

In pomeriggio mi chiamano… WOW, di già!? Non ci posso credere!!!

Eh, infatti, no, chiamano solo per dirmi che “non hanno le competenze per stilare la relazione richiesta dal Tribunale”.

A niente valgono proteste, richieste di spiegazione, suggerimenti…
“È solo una valutazione psichiatrica!”.
“No serve una specializzazione che non abbiamo”.
“Chiedono solo di valutare se sono sana di mente e se sono disforica per il genere – questo l’avete già certificato! –, se sono matura, determinata e se la mia decisione può essere valutata come irreversibile”.
“Non abbiamo le competenze per farlo”.

Mi consigliano di contattare il servizio di Niguarda, dove ho già iniziato un percorso e dove, secondo loro – come effettivamente appare su infotrans.it –, i tempi di attesa sono solo di quaranta giorni. Se non fossi preoccupata, triste e arrabbiata, scoppierei a ridere! Cerco anche di spiegare che i tempi medi di primo accesso a Niguarda sono di circa sei mesi, ma ovviamente la mia voce cade nel vuoto.

Mi dicono anche che potrei potrei provare a rivolgermi ad altri CPS del territorio, come si fa per qualunque visita… Obietto che, sul sito dell’ASST Sette Laghi, è chiaramente indicato che l’accesso ai CPS è legato al distretto relativo al Comune di residenza. Ribadiscono che non è così: proverò!

Poco dopo richiamo, sono ancora infuriata ma cerco (almeno spero) di essere gentile. Chiedo se almeno mi possono fare uno scritto per giustificare perché non possono rilasciare la relazione relazione richiesta.

Mi rispondono che “non funziona così”, che loro rispondono al Tribunale solo quando è il tribunale a chiedere consulenza.

Ah, quindi le “COMPETENZE” le hanno, per il Tribunale, ma non per me?
Ma se è così che funziona “il sistema”, perché la giudice onera me della prova, invece di chiederla direttamente alla struttura?

Avevo il terrore di finire sotto CTU ma, forse, poteva essere più semplice?

Eh, evidentemente con me la sfiga prende proprio la mira.

Fino all’altro giorno giorno ho sempre parlato con un’infermiera molto gentile ed empatica. Oggi con altre due infermiere. Mi domando solo: la non competenza specifica l’ha decisa la dottoressa o lo staff infermieristico che fa da filtro?
Chiedo per un’amica! 🤭

Prima udienza in tribunale

Oggi è il giorno. Atteso a lungo, finalmente è arrivato.

Mi sono alzata presto, ben prima che suonasse la sveglia, volevo prepararmi, essere bella, e ce ne vuole! Ma non riuscirò a ripetere il risultato dell’altro giorno. Forse sono troppo agitata, forse l’idea di essere filtrata da una webcam diminuisce l’impegno, e la mie capacità di makeup sono scarse.

Udienza alle 9.30, collegamento previsto, d’accordo con l’avvocato, dalle 9.15. Poco dopo le 9 provo ad aprire il link. Rimango in attesa.

Dopo un quarto d’ora provo a contattare l’avvocato; neanche lui riesce a collegarsi, parla con la cancelleria, contatta la giudice.

A un certo punto mi riferisce che lui riesce a entrare nella stanza, dopo aver reinstallato Teams su un vecchio PC. Io continuo a tentare ma non riesco ancora. Provo a installare la app sul telefono, sperando che regga.

Alla fine riesco a collegarmi, almeno per qualche minuto di presenza: il problema era che via PC – Windows 10 – per accedere a Teams devo usare un account, ma per accedere alla stanza – per come allestita – dovevo essere un’utente ospite, anonima.

Mi rimane qualche perplessità a riguardo, anche perché, a un certo punto, è apparsa in udienza un’altra avvocata che non c’entrava assolutamente niente… alla faccia della mia privacy. Ok, un’udienza è sempre un atto pubblico, ma se è a porte chiuse le porte devo essere chiuse, anche quelle virtuali.

L’importante comunque è che sia riuscita a collegarmi e che l’avvocato fosse riuscito a farlo da prima.

I miei timori erano fondati e la richiesta di CTU è stata avanzata dalla giudice, con opportuna opposizione del mio avvocato che, grazie alla sua bravura ed esperienza, è riuscito a far ritirare la richiesta.

Una volta collegata, la giudice mi ha chiesto se volevo rilasciare una dichiarazione. L’avvocato mi aveva raccomandato di arrivare rilassata, ma dopo tutto lo stress accumulato per cercare di collegarmi ero agitatissima.

Lì per lì non mi veniva niente, francamente speravo in una domanda a cui rispondere… Mi chiede se confermo quanto riferito dall’avvocato e sì, credo che abbia fornito una descrizione molto accurata della mia situazione, nella sua relazione.

Aggiungo che so di essere in età avanzata, che questo potrà comportare problemi per la fase chirurgica, ma che troppo tardi ho scoperto che orientamento sessuale e identità di genere sono caratteristiche ben distinte e che potevo essere donna e lesbica pur essendo nata maschio, prendendo finalmente coscienza di me quando ormai avevo circa quarant’anni.
Poi ho atteso, per amore dei miei figli, che raggiungessero un’età abbastanza adulta prima comunicargli la mia volontà, la mia necessità di adeguamento all’identità di genere. E che comunque sono ormai decisa e determinata a proseguire il mio percorso, per completarlo e vivere finalmente come donna a tutti gli effetti.

Ascoltate le mie parole la giudice ha fissato un’udienza conclusiva (spero di aver capito bene il termine, perché “conclusiva” mi piace) per fine settembre.

Dovrò però presentare, per quella data, una nuova relazione psichiatrica, rilasciata da autorità pubblica o convenzionata e accreditata, in cui risulti che oltre alla disforia e all’esclusione di altre patologie psichiatriche, sia accertato che la mia volontà è determinata e irrevocabile.

A poco è servita la replica del mio avvocato, che non sono esattamente una ragazzina e che alla mia età le cose sono in grado di ponderare con maturità e consapevolezza. Ma almeno un riconoscimento, da parte della giudice, della mia maturità e della ponderatezza della decisione dovrebbero essere finite a verbale.

Chiusa la video-chiamata ho parlato telefonicamente con l’avvocato per circa mezz’ora sull’andamento dell’udienza e sulle cose da fare.

Poi, come un palloncino che ha perso il legaccio, mi sono sgonfiata velocemente – ma senza pernacchie – e afflosciata, vuota.

Sono rimasta priva di energie fino a sera, pur essendomi concessa una pennica post-prandiale.

Devo ringraziare il laboratorio di Rete Donne Transfemminista, questa sera con tema “Questione di potere – cultura dello stupro e consenso” alla quale ho voluto partecipare nonostante la stanchezza e l’assenza totale di forze fisiche e psichiche.

E ho fatto bene, perché invece di addormentarmi sulla tastiera mi sono ricaricata e, come ho commentato, nel pour parler successivo all’incontro, “mi hanno ricaricato l’anima”.

Trovo talmente utili e costruttivi questi incontri di formazione che voglio condividere con voi il calendario dei laboratori e la possibilità di rivedere tutti gli incontri che si sono già tenuti, dal loro canale youtube.

Tornando all’udienza, non è andata male e non è andata bene.

Ora serve un rinnovato impegno e avrò bisogno di tutto il vostro sostegno… che sono già sicura di avere.

Vi voglio bene, e la vostra vicinanza l’ho sentita, la sento. Grazie! ❤