Quando l’avvocato mi ha detto che l’udienza sarebbe stata ancora online l’ho pensato: ha già deciso tutto e non andrà bene.
Sì, lo so: non dovrei essere pessimista. Ma alla fine credo di averci azzeccato.
Collegarsi è stato difficile, come l’altra volta, ma ero preparata e puntualmente sono entrata nella stanza virtuale in cui ero apparentemente da sola in attesa di ingresso.
Finalmente appaiono i nomi della giudice e dell’avvocato. Non sento niente e poco dopo scompaiono.
Suona il telefono, è l’avvocato: l’udienza è già conclusa. Non mi sentivano, così come io non sentivo né vedevo loro.
La giudice aveva già deciso: la mia istanza verrà portata al collegio giudicante “con riserva”. L’avvocato mi spiega che evidentemente non ritiene sufficiente neanche la seconda perizia psichiatrica a cura del SSN e che probabilmente sarò inviata al CTU.
A questo punto mi domando: non sarebbe stato meglio inviarmi subito, alla prima udienza? Fra l’altro quando l’avvocato le ha chiesto se avesse letto l’ultima perizia psichiatrica la risposta è stata che la stava leggendo in quel momento.
Ma se non l’aveva ancora letta, come ha fatto a decidere, così, che c’era una “riserva”?
Ok, non è ancora detto: dovrei essere positiva, lo so, me l’ha raccomandato anche l’avvocato: “dobbiamo avere solo pensieri positivi”, ma…
Evidentemente la mia posizione è strana: due mogli, due figli… ma non è colpa mia se sono lesbica, se quando mi sono capita ho deciso di aspettare per rispetto dei miei figli nel timore di ferirli.
Il mio orologio biologico ticchetta inesorabilmente, molto più della sveglia di Capitan Uncino. Ho aspettato così tanto per amore, ora devo aspettare… perché?
C’è qualcunə che vede ancora mascolinità in me? Vi sembro immatura?
Perché ad altrə compagnə d’avventura, stesso tribunale, forse stessa giudice, è bastata anche una sola udienza per accogliere l’istanza e io, invece, sono qui in sospeso, “con riserva”?
— Avvocato, ma quanto ci vorrà per sapere qualcosa?
— Mah, dipende da quanto lavoro hanno: da un paio di giorni a sei mesi.
— Eeehhh?!
— Ma se ci fanno attendere forse è meglio, perché vuol dire che forse si prendono il tempo per scrivere la sentenza. Se invece si fanno sentire subito…
Si interrompe ma è ovvio: se rispondono in fretta sarà solo per assegnarmi un CTU.
In ogni caso ritengo sia stato violato il mio diritto a presenziare all’udienza, sempre che sia un mio diritto: sembrerebbe quasi di no, per come sono stata trattata nelle due udienze, entrambe in remoto – e la scusa del covid ormai mi sembra debole.
Magari non avrei comunque potuto parlare, magari sì, in particolare se fossi stata in presenza. E almeno avrebbe potuto guardarmi, vedermi, valutare chi sono. Leggere i miei sguardi, il linguaggio del mio corpo.
L’impressione è che i miei sentimenti, la mia persona, la mia personalità siano stati bellamente ignorati, come le relazioni psicologiche e psichiatriche. Sono vecchia, con un passato da cis-etero-normata, e temo sia stato l’unico fattore valutato, con un evidente preconcetto. Eppure non sono la sola ad aver iniziato la transizione in tarda età e con una storia familiare.
La mia vita, la mia sofferenza, evidentemente non contano: il problema è squisitamente mio. Forse sono solo un numero, una pratica. Il dolore non conta: tanto è solo mio, e certo non è contagioso.
Non sono matta, ma rischio di diventarlo se rimango intrappolata in un’anagrafica che non mi appartiene e con dei genitali che non sopporto più.
Francamente non so quanto riuscirò ancora a resistere.
Che si aprano i rubinetti: meglio lasciare uscire le lacrime. Gli occhi diventeranno anche sempre più belli, ma van già bene così… e mi piacerebbe poter avere un po’ di serenità. Non ne avrei diritto, come tuttə?