Secondo colloquio di lavoro

Uscita dalla strizzacervelli mi sono tolta gli orecchini – uno si stava scollando, salvato appena in tempo! –, pulite le labbra dal filo di rossetto che mi sono permessa – gli occhi no: niente mascara ché “magari non ce la faccio a pulirli” – e tolto il reggiseno – in auto, ovviamente!!! – mi sono calata – o almeno ci ho provato – nel mio ruolo di genere maschile.

Ci sto male in questo ruolo ma, l’ho già detto, ho bisogno di lavorare!

Ora che ho fatto coming out con i figli in casa mi rivolgo sempre al femminile e anche M. si rivolge a me così, sempre. Anche per strada. E sta diventando veramente difficile mentire al mondo parlando di me al maschile. Ma è un uomo che si aspetta da me il mondo, almeno quello lavorativo, almeno credo. Magari mi sbaglio ma non posso rischiare!

Ho avuto circa un’ora per rilassarmi in riva al lago, su una panchina, rinfrescata dalla brezza – dentro al CPS mi stavo sciogliendo per il caldo – e con un ottimo panorama… peccato solo per quel velo di foschia.

Il colloquio, itinerante, sembra essere andato bene… ma finché non firmo non ci credo.

Forse sono stata brava a fingere, o forse non gli interessava: la camicia era azzurra, semplice ma da donna; i pantaloni, be’… pantaloni – senza tasche, senza patta, con l’elastico, rayon credo, tinta verde oliva mélange –, ballerine con laccetto en pendant, e la mia borsa non poteva mancare!

Quindi no, non ero un maschio alfa, né beta – al di là del genere sarebbe sciocco mettersi in competizione con i capi che dovrebbero assumerti, no?! – e neanche gamma… ero solo io, in versione super-stealth.

Incrocio le dita e rimango in attesa!