Ho incominciato il nuovo lavoro da poche ore, circa dieci. E poche ore dopo poco ero già in crisi. Sì, stavo per piangere. Mi sono trattenuta e ho cercato di ingoiare, come ogni tanto so fare, senza darlo a vedere.
All’inizio tutto è andato abbastanza bene. Poi, verso fine turno, prima di salire in ufficio il mio collega:
— Ma i tuoi capelli, sono così…
— Be’, sì, li schiarisco un pochino per nascondere i bianchi, che ormai sono molti.
— Ah, ma… li tieni così… lunghi… perché…
— (scherzando) Eh, ho litigato col parrucchiere… no, non ho litigato “davvero” – mi guardava strano – ma è da tanto che non ci vado… e così mi piacciono, lunghi.
— È che qui, sai, preferiscono i capelli corti… mi han chiesto di vedere se riuscivo a fartelo capire io…
Forse a questo punto si capisce il titolo: carta, il contratto, sasso o, meglio, il macigno che mi è arrivato al ventre… e anche le forbici, quelle del parrucchiere.
Tutti vincono, tutti perdono!
— Gli ho anche detto – prosegue – che prima avevo una collega, e che a lei non avrebbero chiesto di tagliarsi i capelli… “Ma lui è maschio”, mi hanno risposto! Vedi tu cosa vuoi fare…
E mo’ che faccio?
Perdo i capelli e la dignità?
Mi dichiaro donna e perdo il lavoro?
Non faccio niente e rischio di perdere il lavoro che ora mi dà uno straccio di dignità, vivendo in ansia almeno per tutto il periodo di prova (45 giorni) e fino alla scadenza del contratto (6 mesi)?
Il bello è che i capelli vorrei anche sistemarmeli un po’, non mi dispiacerebbe un taglio anche un po’ più corto, ma lo voglio comunque femminile, cosa ben difficile con il mio faccione e testone… e avrei bisogno di un(’)artigian@ brav@, economic@ e friendly, il che temo escluda le botteghe low-cost, le uniche che mi potrei permettere, almeno finché non porto a casa uno stipendio.
Fra l’altro credo che per “corti” intendesse con la sfumatura alta – indicando il suo taglio curatissimo ma quasi militare.
Domani – oggi ormai – è il mio giorno di riposo: sì, di già! E ho qualche ora per pensare.