Quarantena

Non sono passati quaranta giorni dall’ultimo articolo. Ma siamo in quarantena e fa quasi lo stesso, quindi parto con una citazione musicale.

Quaranta dì, quaranta nott, che potrebbero essere sessanta, ottanta o forse più: non cambia molto.

Non cambia molto il significato di “ci penso e ti dico”.

Che, lo sapevo, è sempre stato “no”, da subito, ma “ci penso” sembra fare meno male. Sembra. A lei. Forse.

L’ho sempre saputo, il significato, perché poi il “ti dico” che avrebbe dovuto seguire il “ci penso” non è mai seguito. Mai. E l’ho sentito tante volte.

Poi l’altra mattina c’è stata la conferma: ripetendo una proposta di un paio di mesi fa la risposta è stata “ti avevo già detto che no, non mi interessa”.
In realtà la risposta era stata, indovinate ? “Ci penso e ti dico”.

La domanda è imbarazzante, sia per me che per lei. Ma quando gliel’ho fatta era da un po’ che non prendevo il luppolo e spesso avevo un fastidioso “alzabandiera” mattutino. L’offerta è stata stupida e fuori luogo. Forse poi mi sarei sentita peggio ma l’intento era sincero: se non mi vuole più come donna magari posso offrirle qualcosa con quel rimasuglio di uomo – fisiologico – che ancora sono.

Visto che i preservativi che abbiamo in casa sono scaduti da anni le ho chiesto se pensasse fosse il caso di prenderne di nuovi, per provare a fare l’amore con me. La risposta la conoscete. E non sapremo mai se, effettivamente, sarei mai riuscita a farcela ma nella mia lunga transizione negli ultimi rapporti etero che abbiamo avuto io invertivo mentalmente – lei complice – il verso della penetrazione.

Spero di non averla offesa, forse sì, ma siamo in simbiosi da così tanto tempo che mi aspetterei una sgridata, magari un ceffone – anche se non è da lei – non un finto “ci penso”.

Fatto sta che, dopo aver ricevuto la nuova fornitura di luppolo l’alzabandiera è rimasto e forse peggiorato (mi capita anche di notte, quando devo alzarmi per fare pipì). L’altra mattina era persistente – a me dà un fastidio terribile – e le ho ricordato la proposta ma non ho voluto commentare la sua risposta anche perché siamo in quarantena. E forse lei semplicemente avverte il mio disagio.

I rapporti sono già tesi per il vivere insieme coatto, adolescente incluso, 24/7, come si dice, peggiorati dalla mia disforia, dai miei dolori crescenti per la proibizione delle passeggiate, dal mio pessimo carattere, dalla mia transizione, dalla mancanza di tempo per me da sola, dalla mancanza di coccole, di sesso.

Oggi mi sono comunque concessa una passeggiata, breve, più o meno nei limiti: almeno finché non quantificano, in metri, “nei pressi dell’abitazione” – il paese in cui vivo è talmente piccolo che in qualunque direzione in due minuti a piedi, ma anche meno, si può uscire dall’abitato, se non dai confini – ma non è servito così tanto, se non, almeno spero, alle mie ossa.

E quando mi è esplosa la tristezza, stasera, ha cercato di consolarmi ricordandomi che ho iniziato la transizione. Sì, vero, ma: ho il nulla osta da gennaio e la prima visita a maggio; non posso farmi prescrivere gli esami dal dottore perché non posso andarci per il covid-19 e temo di andare a Niguarda, sempre che non cancellino l’appuntamento, solo per farmi prescrivere gli esami e tornare dopo altri sei o sette mesi di attesa; non posso permettermi il percorso privato perché oltre a non poter pagare le visite non potrei pagarmi la terapia.

Inoltre – le ho detto – mi rendo conto di aver perso ogni relazione con nostro figlio; sto perdendo lei perché ho distrutto – o sto distruggendo – il nostro rapporto (il nostro “fantastico” rapporto l’ho solo pensato).

Potrei aggiungere che non ho vie d’uscita: anche con la paga del mio lavoro – fortunatamente, almeno, mi hanno rinnovato il contratto – facciamo fatica ad arrivare a fine mese, figuriamoci se posso pensare di togliere il disturbo ed andare a vivere per i fatti miei.

Posso solo pensare di togliere il disturbo. Punto.
E mi sentirei in colpa, perché lei mi riterrebbe una vigliacca.

Posso solo ipotizzare, perché lei non legge queste inutili parole: gliene ho parlato più volte di questo blog e più volte le ho chiesto di leggerlo. Ma a lei da fastidio leggere a computer, allora le ho proposto di stamparglielo e mi rispose che ci avrebbe pensato lei.

“Ci penso”. Ecco, appunto! Cosa dicevo?
Non lo fa per cattiveria, ma è così che fa.

Quanto vorrei che mi leggesse, sia in queste pagine che dentro.