Tornando dal mercato mi lamento per il dolore al seno: la ghiandola mammaria cresce, dura. Toccare il capezzolo, l’areola, o anche solo strisciare qualcosa sul seno, che sia una maglia o la cintura di sicurezza, mi fa saltare.
E sì che pensavo di avere una sopportazione del dolore piuttosto alta.
Dopo un sussurro di dolore, mi lascio scappare, portandomi la mano al seno: “che fatica essere donne!”
“Eh, no! – risponde secca M. – Non puoi tornare indietro!!!”.
Davvero?
Non posso?
Non voglio, certo. Ma: “Non posso!”?
È la seconda volta che me lo dice. La prima in seguito a una delle mie crisi di cui, ora, non mi ricordo i dettagli ma pensavo di rinunciare alla transizione per poter restare con lei.
Per quanto sia criticabile il protocollo ONIG, per i suoi lunghi tempi di valutazione, questi tempi sono previsti proprio per un’attenta valutazione del proprio essere, prima di arrivare a una scelta irreversibile.
Ma io non posso tornare indietro? Perché?
No, non ho avuto il coraggio di chiederglielo.
Il nostro rapporto è così forte e così traballante! La amo tanto e altrettanto mi sento così in colpa per quello che le ho fatto, scoprendomi per quello che sono.
Non è di me che si è innamorata, eppure mi ama ancora. Forse.
Eppure mi è stata complice, sodale, per così tanti anni.
Almeno finché anche lei ha visto la donna che sono. Per questo non posso tornare indietro?