E anche questa è fatta, alla faccia del venerdì tredici!

Sto tornando a casa dopo il lavoro, sento una chiamata sull’auricolare, cerco di rispondere ma da imbranata provetta non sento niente e perdo la chiamata.

Controllo appena posso, era il capo, quello con cui cerco di parlare da quattro giorni – ritardo dovuto, mi spiegherà, a problemi contingenti. Mi scuso via SMS: appena arrivo a casa richiamo. E scattano ansia e panico. Non proprio… ma mi piace immaginare la scena con due spiritelli che litigano orbitando intorno alla mia testa se non direttamente nel mio cervello.

A casa respiro, sosta tecnica in bagno, via le scarpe da lavoro, un’ombra di bianco – non ditelo ai dottori! 😇 – e parte la telefonata…

E ancora una volta è stato molto più semplice di quello che mi aspettavo: quasi mi viene a noia fare coming out senza alcun problema – ovviamente scherzo, e sapete che ancora soffro per la perdita del mio migliore amico, unica persona cara che mi ha rifiutata, finora.

Il direttore del personale mi assicura che non ci sono problemi dal punto di vista aziendale, che nonostante non ci siamo mai incontrati, sono soddisfatti del mio lavoro, con apprezzamenti e nessuna lamentela, e che niente cambierà, se non l’anagrafica.

Quando, all’inizio, gli ho chiesto se capiva la diagnosi per “disforia di genere” a cui io preferisco la nuova classificazione dell’OMSincongruenza di genere”, mi ha risposto che la conosce bene, perché una sua amica ha fatto il mio stesso percorso.

Sono felice e mi ritengo molto fortunata: sono cresciuta in un’epoca in cui “i” transessuali erano associati univocamente alla prostituzione, ora mi sembra di sfondare una serie di porte aperte e per questo non posso che ringraziare tutte le persone transgender e non-binary che negli ultimi cinquant’anni hanno sofferto, sputato sangue e denti per le botte, sopportato umiliazioni e continuato a lottare e manifestare, per i nostri diritti.

Elencarlə tuttə sarebbe impossibile.

Grazie a tuttu!!! 🙏

P.S.: In realtà neanche questo credo sia l’“ultimo” coming out, devo ancora dirlo alle mie due prime cugine e a qualche amicizia. Abbiate pazienza se vi tedierò ancora a proposito: spero proprio che nel giro di una o due generazioni il coming out diventi il ricordo di un’usanza antica. Non ci spero ma sono fiduciosa. Nel frattempo ogni passo in quella direzione – spero anche i miei piccoli passetti, che racconto qui – ci avvicinerà al traguardo.