Sono ammalata dal 4 dicembre, dopo un paio di giorni di preavviso con raffreddore e tosse.
Il dottore mi ha consigliato tre giorni di paracetamolo, prima di pensare al covid, ma nel frattempo il fiato si accorcia sempre di più, appena mi muovo.
Oggi sono decisamente peggiorata, il dottore non c’è e chiamo la guardia medica che mi indirizza al 112. Vinco la seconda corsa in ambulanza dell’anno – e della vita. Questa volta con calma, codice verde. Come l’altra volta il percorso mi sembra molto lungo, più di quello che avrei fatto io: che siano pagati a tassametro?
Respiro male, a fatica, se non sto immobile cala subito la saturazione… ma sapete qual’era la prima preoccupazione in ambulanza? In che reparto mi metteranno? Non vorrei finire in quello maschile ma capirei il disagio delle altre pazienti in quello femminile.
Finisco al triage covid, lo stanzone è misto e alla fine rimarrò da sola. Il problema di genere non si pone, per il momento.
In visita mi presento al femminile, specificando che sono in un percorso di adeguamento di genere, e fra i medicinali che assumo comunico quelli della TOS Femminilizzante. Nessuna reazione da medici e infermieri ma continuano a parlarmi al maschile 😢 o almeno così mi ricordo: sto male e sono molto frastornata.
Un po’ meglio forse con l’infermiera dell’accettazione e di guardia che, gentilissima, riesce anche a recuperarmi qualcosa da mangiare.
Prima di cercare di addormentarmi – benedicendo la mascherina per gli occhi che ho pensato di portare – mi cambio e metto la mia camicia da notte.
Non sarà molto ma mi aiuta a rilassarmi. Anche se non riuscirò veramente a dormire almeno mi riposo.