C’è voluto un po’ di tempo per potermi registrare, come persona fragile, per prenotare la vaccinazione – e ancora sto aspettando la chiamata dall’unico centro ospedaliero dal quale sono seguita, più o meno ufficialmente, al quale ho chiesto di essere inserita negli elenchi come indicato dal medico curante.
Ci sono stati anche vari tentativi di iscrivermi via portale della Regione – sì, quella dell’eccellenza, riguardo la Sanità! – e per farla breve, alla fine, quando ormai stava arrivando la possibilità di iscrivermi per fascia di età hanno aggiunto sul portale la possibilità di auto-dichiararsi come “fragili”… non avrei mai voluta passare davanti a chi ne aveva più urgenza ma, sulla carta, per le mie patologie, sarei dovuta essere calendarizzata subito dopo gli ultra-ottantenni.
Finito il pippone politico passo alla cronaca che più mi riguarda.
Arrivo al centro vaccinale, accompagnata da M., e devo dire che l’organizzazione sono state eccellenti.
Mi accolgono tuttə al femminile, con un po’ di titubanza la tavolo della reception, dopo aver visto il nome sul foglio di prenotazione, che mi chiede il tesserino sanitario – anche – per conferma.
Nel percorso si rivolgono sempre al femminile, finché non entro nella stanzetta per la vaccinazione. La dottoressa al computer, dopo aver visto carte e tesserino, passa al maschile. Io continuo con il femminile.
La dottoressa che mi sta per inoculare il vaccino invece prosegue al femminile e apprezza la mezza-manica corta della mia maglia: “l’ho messa apposta, mi sembrava più semplice per voi”.
E anche la collega si adegua al femminile.
Per la vaccinazione mi sono truccata, leggermente, orecchini carini, il mio solito abbigliamento, borsa… Insomma: sono nata XY, il mio corpo è quel che è ma il suo linguaggio urla “SONO UNA DONNA”, e inizia a funzionare.