Ricordi e lacrime

Stasera, tornando a casa, alla radio (RTÉ) hanno passato Mull of Kintyre, un po’ a tradimento… perché quando la sento la mente torna istantaneamente al mio caro amico Franco. A quarant’anni fa, quando percorrevamo il lungo corso San Gottardo per andare a scuola.

E niente, mi manchi Franco! Mi mancano anche le furiose litigate per politica che avevamo saggiamente imparato ad escludere dalle nostre discussioni.
Ogni volta che sento questa canzone piango, perché mi ricorda te. Non è una novità che io pianga, ma con questa si rompono proprio gli argini, anche ora che l’ho riascoltata – per quanto preparata – per condividerla con voi.

Ora come allora, lungo corso San Gottardo, caro Franco, rispondo con See me, Feel me. E proprio con la versione live di Woodstock 1969.

Con questa, oltre alle lacrime mi rimbalzano in testa i numeri: avevamo 16-17 anni, quarant’anni fa. E io a quarant’anni, circa 16-17 anni fa mi sono scoperta.
Queste simmetrie mi affascinano e mi turbano, come il pensiero di pochi giorni fa che fra pochi mesi il mio primo figlio avrà 29 anni, la stessa età di quando l’ho avuto.

40 anni fa a 17, 17 anni fa a 40… ma fin dalla prima volta che l’ho sentita, questa canzone mi risuona sotto la pelle e mi vibra nelle ossa:
See me, feel me: capisci chi sono?
Touch me, heal me: 40 anni per toccare la mia coscienza e 17 per liberarla dal disagio.
Purtroppo nessunə, nemmeno io, ha colto questo appello per molti anni: guardami, sentimi, toccami, liberami!

Parlo di disagio perché disforia non mi piace proprio come termine: io non mi sono mai sentita malata – per quanto sia stata letteralmente “patologizzata” e abbia dovuto accettarlo, per poter iniziare, legalmente, la transizione – ma questo “heal” lo leggo da sempre come guarigione sciamanica, una liberazione dell’anima (come nel film, peraltro, IMHO).

Per chi è arrivatə fino a qui (senza chiamare il 112 per un TSO): TI VOGLIO BENE, TI AMO, GRAZIE!

Nel frattempo ho riascoltato il brano credo almeno una decina di volte, causando un disastro ecologico per l’uso smodato di fazzoletti. Chiedo scusa a Pacha Mama. 🙏

E visto che gli Who mi vibrano nelle ossa, non posso non citare anche Musica ribelle.

Roba vecchia, da boomer… ma a me piace, dà emozioni (e lacrime, tanto per cambiare)… Io ascolto volentieri anche musica del ’700 pur non essendo ancora una mummia. Provateci, giovinastrə, magari vi piace! 😉

Prima udienza in tribunale

Oggi è il giorno. Atteso a lungo, finalmente è arrivato.

Mi sono alzata presto, ben prima che suonasse la sveglia, volevo prepararmi, essere bella, e ce ne vuole! Ma non riuscirò a ripetere il risultato dell’altro giorno. Forse sono troppo agitata, forse l’idea di essere filtrata da una webcam diminuisce l’impegno, e la mie capacità di makeup sono scarse.

Udienza alle 9.30, collegamento previsto, d’accordo con l’avvocato, dalle 9.15. Poco dopo le 9 provo ad aprire il link. Rimango in attesa.

Dopo un quarto d’ora provo a contattare l’avvocato; neanche lui riesce a collegarsi, parla con la cancelleria, contatta la giudice.

A un certo punto mi riferisce che lui riesce a entrare nella stanza, dopo aver reinstallato Teams su un vecchio PC. Io continuo a tentare ma non riesco ancora. Provo a installare la app sul telefono, sperando che regga.

Alla fine riesco a collegarmi, almeno per qualche minuto di presenza: il problema era che via PC – Windows 10 – per accedere a Teams devo usare un account, ma per accedere alla stanza – per come allestita – dovevo essere un’utente ospite, anonima.

Mi rimane qualche perplessità a riguardo, anche perché, a un certo punto, è apparsa in udienza un’altra avvocata che non c’entrava assolutamente niente… alla faccia della mia privacy. Ok, un’udienza è sempre un atto pubblico, ma se è a porte chiuse le porte devo essere chiuse, anche quelle virtuali.

L’importante comunque è che sia riuscita a collegarmi e che l’avvocato fosse riuscito a farlo da prima.

I miei timori erano fondati e la richiesta di CTU è stata avanzata dalla giudice, con opportuna opposizione del mio avvocato che, grazie alla sua bravura ed esperienza, è riuscito a far ritirare la richiesta.

Una volta collegata, la giudice mi ha chiesto se volevo rilasciare una dichiarazione. L’avvocato mi aveva raccomandato di arrivare rilassata, ma dopo tutto lo stress accumulato per cercare di collegarmi ero agitatissima.

Lì per lì non mi veniva niente, francamente speravo in una domanda a cui rispondere… Mi chiede se confermo quanto riferito dall’avvocato e sì, credo che abbia fornito una descrizione molto accurata della mia situazione, nella sua relazione.

Aggiungo che so di essere in età avanzata, che questo potrà comportare problemi per la fase chirurgica, ma che troppo tardi ho scoperto che orientamento sessuale e identità di genere sono caratteristiche ben distinte e che potevo essere donna e lesbica pur essendo nata maschio, prendendo finalmente coscienza di me quando ormai avevo circa quarant’anni.
Poi ho atteso, per amore dei miei figli, che raggiungessero un’età abbastanza adulta prima comunicargli la mia volontà, la mia necessità di adeguamento all’identità di genere. E che comunque sono ormai decisa e determinata a proseguire il mio percorso, per completarlo e vivere finalmente come donna a tutti gli effetti.

Ascoltate le mie parole la giudice ha fissato un’udienza conclusiva (spero di aver capito bene il termine, perché “conclusiva” mi piace) per fine settembre.

Dovrò però presentare, per quella data, una nuova relazione psichiatrica, rilasciata da autorità pubblica o convenzionata e accreditata, in cui risulti che oltre alla disforia e all’esclusione di altre patologie psichiatriche, sia accertato che la mia volontà è determinata e irrevocabile.

A poco è servita la replica del mio avvocato, che non sono esattamente una ragazzina e che alla mia età le cose sono in grado di ponderare con maturità e consapevolezza. Ma almeno un riconoscimento, da parte della giudice, della mia maturità e della ponderatezza della decisione dovrebbero essere finite a verbale.

Chiusa la video-chiamata ho parlato telefonicamente con l’avvocato per circa mezz’ora sull’andamento dell’udienza e sulle cose da fare.

Poi, come un palloncino che ha perso il legaccio, mi sono sgonfiata velocemente – ma senza pernacchie – e afflosciata, vuota.

Sono rimasta priva di energie fino a sera, pur essendomi concessa una pennica post-prandiale.

Devo ringraziare il laboratorio di Rete Donne Transfemminista, questa sera con tema “Questione di potere – cultura dello stupro e consenso” alla quale ho voluto partecipare nonostante la stanchezza e l’assenza totale di forze fisiche e psichiche.

E ho fatto bene, perché invece di addormentarmi sulla tastiera mi sono ricaricata e, come ho commentato, nel pour parler successivo all’incontro, “mi hanno ricaricato l’anima”.

Trovo talmente utili e costruttivi questi incontri di formazione che voglio condividere con voi il calendario dei laboratori e la possibilità di rivedere tutti gli incontri che si sono già tenuti, dal loro canale youtube.

Tornando all’udienza, non è andata male e non è andata bene.

Ora serve un rinnovato impegno e avrò bisogno di tutto il vostro sostegno… che sono già sicura di avere.

Vi voglio bene, e la vostra vicinanza l’ho sentita, la sento. Grazie! ❤

Riunione familiare? Ma anche no…

Sono mesi che desidero e cerco di organizzare una “riunione di famiglia”, senza riuscirci. Mancano pochi giorni all’udienza.

Buona parte ce l’ha messa la pandemia, impedendo a T. di poterci raggiungere.
Poi sono mesi, ormai, che T. non risponde ai messaggi né alle telefonate.

Sono preoccupata. Sì, molto, e combattuta se prevaricare il suo diritto alla privacy o aspettare che si decida a rispondermi. Mi sembrava mi avesse accolta, sono io il problema?

Neanche F. riesce a contattarlo e sono sempre stati legati, come fratelli.
In ogni caso, fra poco ci sarà l’udienza. È la prima, difficilmente cambierà tutto, ma qualcosa cambia.

Sono mesi, mi ripeto, che vorrei parlare con la mia famiglia di “futuro”.

Stasera ho chiesto a M. se potevamo prenderci cinque minuti (5!) a cena per parlare un po’, invece del solito fuggi-fuggi – F. per primo – dopo aver ingollato l’ultimo boccone, spiegando anche della mia preoccupazione riguardo T. che vorrei presente ma, al momento, latita.

M. mi ha guardata stranita – spaventata? – senza commentare.
Ovviamente a cena il copione è stato il solito: rimango seduta da sola, a finire l’ultimo boccone: colpa mia, sono lenta!

Io ho bisogno di voi.
Voi, di me, forse no.
Forse senza forse, anzi, direi, proprio senza.

Sono ingombrante, lo so, e non solo per stazza. Ma cosa potrei fare? Come potrei liberarvi di me? Con il lavoro che ho, senza alcuna possibilità di emanciparmi. Avrei davvero bisogno di capire.

Sarà il periodo – da poco è passato un anniversario – allora non mi avete lasciata andare, anzi poco dopo F. si è riavvicinato a me e mi si era riaperto il cuore.
Ma ora?

Speravo solo di ragionare su come essere chiamata in pubblico, soprattutto con persone che non conoscono la mia, la nostra storia.
Ma forse è un argomento che riguarda solo me. Già!

Questi sono solo appunti, non allarmatevi, ma in queste occasioni sono parole che rimbalzano in testa vigorosamente:

Ti ho delusa, ho rovinato la tua vita:
la prossima volta non fermarmi.
È la mia unica via di uscita!?