La violenza di genere è sempre sbagliata!
Questo è (stato) un anno tremendo, non solo per il covid, ma anche e forse di più per la violenza di genere e i femminicidi. Avete letto i quotidiani o ascoltato i notiziari?
Oggi è il giorno più lungo e difficile per quanto riguarda il mio lavoro.
Oggi lo è stato di più, più del solito, sia perché i dolori si sono fatti sentire molto, sia per un’aggressione verbale che ho subito.
Aggressione che ritengo di poter definire violenza di genere anche se perpetrata da donna a donna.
Il mio lavoro consiste nell’accertare illeciti, da cui scaturiscono verbali e sanzioni. Lo faccio in un piccolo comune. Lo faccio dopo un coming out, fatto mesi fa, con l’ente per cui lavoro. Le voci corrono ma, ovviamente, non vado in giro con un cartello luminescente con scritto “donna trans!”.
Al lavoro e anche in servizio attivo parlo sempre e solo al femminile.
Il mio lavoro è spesso disprezzato. Gli insulti sono frequenti ma, a volte, ci sono anche ringraziamenti per il lavoro svolto e, addirittura, scuse dai contravventori.
C’è un gruppo familiare, titolare di un’attività, che ripetutamente viola le disposizioni che io posso accertare. Dopo un lungo periodo di “tolleranza”, in particolare nei tempi difficili del covid, sono stata insultata – ovviamente in pubblico, ad alta voce – da una componente del nucleo.
Il mio livello di “tolleranza” è calato un po’, che dite: è umano?
Oggi, doppio turno, dopo aver soprasseduto ai due accertamenti del mattino, per vicinanza della fine del turno, non posso non farne uno nel pomeriggio, per continuazione dell’illecito.
Dopo il completamento dell’operazione sopraggiunge la titolare dell’attività inveendo contro di me e appellandomi in modi che, fortunatamente, non comprendo.
A distanza ravvicinata mi accusa di stalking, di accanimento verso la sua famiglia. Le faccio notare che sono loro gli unici ad essere sanzionabili in zona, in quel momento.
Allora passa alle minacce: “andrò a parlarne in Comune… e poi racconterò dei suoi vizietti al parco” – ovviamente urlando, in piazza.
Sono del Leone e gli artigli mi escono, affilati, lunghi: “mi dica, ma di che vizietti sta parlando?!”.
“Eh, lo sa!”.
“No, non lo so proprio… ma penso di quererala per questo!”.
“Sì, querela…”, e si allontana.
Ditemi voi se questa non è intimidazione… e se vi dicessi che il marito è carabiniere e partecipa all’attività familiare in barba alle disposizioni di legge?
Ora, io vivo da donna – trans – anche al lavoro. Ma temo che molti mi vedano come uomo effeminato. Credo anche in questo episodio. Da qui l’equazione: gay → pederasta → pervertito → pedofilo?!
Perché sì, è vero che sono omosessuale – lesbica! – ma se devo essere discriminata almeno sia da donna, lesbica. E comunque ogni associazione fra omosessualità – o non eteronormatività – e perversione mi fa ribollire il sangue!
Per non parlare dell’atteggiamento intimidatorio – che dite, forse un po’ mafioso? – e che un rappresentante delle forze dell’ordine dovrebbe intervenire o quanto meno segnalare ogni violazione di cui viene a conoscenza (24/7, per quel che mi ricordo per i carabinieri)?
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Per fortuna stasera, per quanto fossi cotta, c’è stata l’assemblea cittadina di Non Una Di Meno – Milano, dove ho potuto convertire la mia rabbia in partecipazione e, spero, idee.
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Mo’, vabbe’ mi è venuta voglia di ascoltare questo brano… sedetevi, mettetevi comodə, molto comodə! Pura poesia: e a me torna la voglia – necessità! – di suonare la batteria.
Ogni riferimento a personaggi romanzeschi è voluto e per niente casuale.