“Madonne” della candelora

Stanotte ho dormito pochissimo: sto meglio, respiro meglio, ma si sono riacutizzate alcune mie cronicità.

Mi sveglia il telefono, è il capo-area, ma non riesco a rispondere perché ho braccia e mani completamente addormentate – già: vorrei dormire ancora anch’io, tutta!

Richiamo e mi tira un pippone, perché ho compilato un documento interno come Chiara. Interno, non fiscale, non legale, non ufficiale: un report interno che durerà tutto l’anno e ormai manca pochissimo ai nuovi documenti.

Ho fatto coming out in azienda da più di un anno, per tuttə sono Chiara, anche per l’ente per il quale lavoro in appalto e per l’utenza. Senza nessun problema. Credevo decisamente di godere già, a tutti gli effetti, di un’identità alias.* Evidentemente no!

Il buongiorno si vede dal mattino! 🤬

Essendo il 2 febbraio, mi sono partite le (s)madonne della candelotta! 😇
candelotto di dinamite


* L’identità alias è concessa, in Italia, alle persone trans* o non-binarie – in attesa o in alternativa alla rettifica anagrafica – da molte aziende private, da molte università, da alcuni istituti scolastici ed è anche in discussione una proposta per la sua introduzione nel Contratto di Lavoro della Pubblica Amministrazione. Consiste nell’utilizzare l’identità anagrafica, di cui ne sono a conoscenza unicamente gli uffici del personale e le segreterie didattiche, solo ove strettamente necessario ai fini legali, fiscali e previdenziali. Per il resto viene utilizzato il nome scelto dalla persona per rappresentare l’identità di genere percepita, su tesserini identificativi, indirizzi e-mail, biglietti da visita, elenchi, ecc.

Mi devo emancipare!

Lo so, mi lamento sempre e invece dovrei baciare e cospargere di fiori dove passa M.: non mi ha buttata fuori di casa, mi ama ancora – almeno a modo suo – e sopporta le mie paturnie.

Questo non toglie che mi debba emancipare!

Ci sono momenti in cui mi sento solo un peso, momenti in cui vorrei avere di più, sia di affetto che economicamente… e troppo spesso mi pare di essere l’unica in famiglia a dover rinunciare quasi a tutto, per far quadrare il bilancio, pure a dei farmaci e a degli integratori prescritti, per non parlare dei trattamenti estetici – elettrocoagulazione dei rimanenti peli del viso e logopedista per addolcire il mio vocione – che, non essendo vitali, sono rimandati sine die ma sarebbero necessari per una mia piena affermazione.

Poi posso spostarmi sempre di meno: dopo il tramonto non posso più guidare, e chissà per quanto potrò conservare la patente, a causa delle troppe patologie che si stanno accumulando.

I miei contatti ormai, a parte la famiglia, in casa, e il lavoro, sono quasi esclusivamente virtuali… vien quasi da benedire il covid per averci dotato di strumenti, o meglio di averci costrettə ad abituarci a usarli.

Avrei bisogno di spostarmi in un ambiente più urbano: qui senza macchina non si può nemmeno pensare di muoversi. Ma di trasferirsi né M. ne F. ci pensano proprio, anzi: non hanno nessuna intenzione di lasciare questo paesino, tanto bello quanto isolato.

Sì, lo so: mi vanto sempre di essere un’orsa montanara. Vero! Però questa è a mala pena collina, non montagna, e per quanto orsa o forse proprio per esserlo mi sento in trappola.

Ho bisogno di un reddito, vero, adeguato, con cui potermi autodeterminare. Ho bisogno di un tetto, di mezzi pubblici affidabili e, ahimè, vista la condizione di gambe e schiena ne avrei bisogno in pianura.

La montagna mi manca ma ormai è rimasta solo un sogno e, ne sono sicura, è la sua carenza che ha aggravato le mie condizioni fisiche – e psichiche.
Ah, dimenticavo: ho bisogno d’amore. Di amore ne ho tanto, ma per quanto può durare un amore così a senso unico?

Come non pensare a Pino Daniele, in questi giorni, e soprattutto a Voglio di più!

A volte ritornano

Sto dormendo. Ho avuto due giorni lavorativi pesantissimi e stanotte sono riuscita ad addormentarmi solo dopo le 3.

Suona il campanello della porta. Spero vada M. che è già sveglia da un po’: l’ho sentita alzarsi. Ma è incuffiata – come sempre – e non sente.

Risuonano.

Mi alzo, indosso qualcosa – dormo in mutande, almeno fino al freddo vero, sapevatelo – e vado ad aprire: ovviamente quando arrivo non c’è più NESSUNO! Avrei potuto dormire almeno un’altra ora.

A volte ritornanoVado in bagno e poco dopo dalla finestra sento voci urlanti, che riconosco: sono loro, sono ritornati! 😱

I vicini che stravolsero la quiete della corte in cui vivo, innescando litigate e situazioni infernali, con tanto di querele – presentate e poi ritirate da parte loro – sono tornati. Dopo quasi dieci anni ritornano ad abitare qui.

Riguardo le voci urlanti: no, non stanno litigando, è il loro il tono di voce usuale, quello che si userebbe in una chiamata intercontinentale utilizzando un telefono a bicchierini, quelli uniti con un filo – spago, ai miei tempi, poi si è evoluto con quello di nylon usato per la pesca… ma forse non tuttə siete così matusa come me per capire.

Sono ancora rincoglionita – scusate il francesismo, ma è necessario – dal brusco e anticipato risveglio e in più si fanno sentire mal di testa, dolori e crampi al ventre… lo sapevo da un paio di giorni che sarebbe arrivato il picco del non-ciclo, regolare come quasi sempre. Non potevano scegliere giorno peggiore – o migliore, dipende dai punti di vista.

Sarà una giornata dura, lunga… ma almeno ho una scusa per essere nervosa. 😡

Esco per la spesa e al ritorno incontro la nuovamente-vicina: “Ciao Deadname”.
Sono vestita decisamente carina, da donna, truccata, ho pure il reggiseno push-up… non posso perdere l’occasione: “Ciao… sai, sono cambiate un po’ di cose ultimamente, ora non mi chiamo più Deadname: ora mi chiamo Chiara!”.
“Ah!”, e rientra in casa senza aggiungere nulla, a parte uno sguardo.

Oltre al dolore pelvico, alla ferale notizia del ritorno dei vicini, mi si scatena – riuscissi almeno a capire come o perché?! – l’ipersensibilità uditiva, che mi confonde e mi sbilancia, e fra poco devo andare al lavoro.

Ho già citato Levante, in questo blog, come colonna sonora. Questa volta lo faccio con il titolo con cui ha raggiunto notorietà e successo, ufficialmente il brano è Alfonso, ma la canzone è anche più nota con un titolo alternativo, più adatto alla mia situazione.

Godiamoci la serata

“Imbarazzo” è una parola che ricorre troppo spesso in questo racconto. Molto più di quello che vorrei. Anche se, forse, meno che in altre transizioni.

Fortunatamente ho controllato prima di usarlo nuovamente come titolo.

È passato giusto un mese dalla passeggiata con M., quando ho scoperto che al lavoro si riferisce a me ancora al maschile, ché solo la famiglia proprietaria – di cui fa praticamente parte – sa della mia transizione.

Oggi ho lavorato, sono stanca. E un po’ delusa: T. il mio primogenito – dopo vari rinvii e spostamenti – doveva venire a trovarci stasera, ma ha rinviato al pranzo e domani sarò di corsa subito dopo. F. doveva tornare dal mare e invece ha prolungato la vacanza.

Propongo a M., già che siamo coppietta, di andare a mangiarci una pizza e farci coccolare un po’… gli stipendi sono arrivati da poco e per il momento i soldi ci sono ancora.

Ci accomodiamo, ordiniamo e iniziamo a parlare. Domani ho l’ultima seduta di laser al volto, per la barba. La sesta.

Normalmente torniamo insieme, visto che è nella stessa città di dove lavora, ma domani sarà un’ora prima del previsto e, tornando dal trattamento precedente, invece di farmi raggiungere da lei, come al solito, le dissi che sarei passata io a prenderla in ditta. Poi, il giorno dopo, scoprii che in ditta non sono ancora “Chiara”.

“Allora, domani passi a prendermi?”.
“Hai parlato di me?”.
“No!”.
“Allora ci vediamo, come sempre, al parcheggio… al più ti vengo incontro, ma in ditta non ci vengo”.
“Perché?”
“Perché evidentemente ti imbarazzo, se in un mese non sei riuscita a parlare di me e là sono ancora deadname”.

Si mostra arrabbiata, offesa. E a domanda lo conferma.
“Be’, io sono più offesa di te: è evidente che ti vergogni di me!”.
Silenzio.

Ci salva la cameriera.
Dopo un breve silenzio e qualche profondo respiro cambiamo discorso: godiamoci la serata!

Ma sono molto, molto delusa: lei mi ha sempre assicurato che non aveva nessun problema per me. Neanche di essere indicata come lesbica, pur non essendolo – e ben sapendo di non esserlo – ma evidentemente non è così.
Io sono Chiara per tutto il mondo. Ma forse non per il suo mondo.
Che una volta era il nostro mondo.

A cena fuori

Dopo due giorni di risvegli stranamente – direi quasi incomprensibilmente – euforici, ieri mi sono addormentata piangendo e piangendo mi sono svegliata stamattina.

Poi al corroborante sfogo con il gruppo AMA è seguito un turno di lavoro sotto il sole già torrido – in cui mi sono chiesta se arriverò a fine estate, quest’anno. Ne sono uscita stanca, sfinita.

Stasera usciamo a cena, per festeggiare. Elettricità nell’aria e non è solo il temporale. Esco stanca e nervosa. Torno satolla, leggermente inebriata, serena, quasi felice. Potere del cibo, dell’alcool, ma soprattutto del passare un bel momento con la famiglia.

Mentre mi spalmo gli ormoni mi viene in mente la giornata di domani: devo tornare al CPS, con nuovi documenti, per provare ad accelerare il nuovo iter psichiatrico.

Già: mi tocca ancora il vaglio dellə strizzacervelli. Un’altra volta. Un’altra volta devo – e non voglio – essere valutata come soggetto potenzialmente malato.
Se decido di mettermi a nudo, in cerca di aiuto, come ho fatto con lo psicologo, è una mia scelta. E mi è servita, lo rifarei.

Se invece ti impongono di spogliarti, voi come lo chiamate?!

E via… un’altra notte a piangere: ma i miei occhi non sono già abbastanza belli? Be’, no, certamente non “adesso”!

Sogno. (Desiderio di maternità?)

Stanotte – ahimè non posso dire “ieri” – sono andata a dormire tardi, come spesso accade, per cercare di aggiornare il blog.

Mi sveglio per accompagnare M. al treno ma poi mi rimetto a letto: mi riaddormento subito e inizio a sognare.

Sono al lavoro ma le strade sono quelle di un’altra città, forse Varese. Litigo lievemente con qualche utente e mi ricordo che devo fare un lavoro alla nostra postazione in strada: montare le nuove casse dello stereo. (?)

Non abbiamo una tale postazione e tanto meno usiamo casse stereo, ma era sembrata un’ottima idea per rilassarmi dopo il diverbio.

La postazione è una serie di tavoli coperti, con muro alle spalle, con mensole su cui – appunto – ci sono le casse da cambiare.

Mi sembra di riconoscere la strada di Biumo Inferiore (Varese) dove vivono i miei suoceri e intorno alla postazione si formano le bancarelle della tipica festa del rione – ma la nostra postazione è fissa, non siamo lì per la festa. 🤔

Inizio a fare il lavoro programmato ma vengo continuamente interrotta da persone gentilissime che mi offrono aiuto, con simpatia, ma con una mia certa insofferenza.

Un signore mi offre un “bicchiere”, credo di vino, e rispondo che sono a posto con l’acqua che ho – peraltro sto lavorando!

Mi ricordo di dover prendere le medicine, le verso sulla mano: sono tantissime! Cerco di metterle in bocca ma non ci stanno tutte. Cerco l’acqua per mandarle giù ma le prime due o tre bottiglie sembrano vuote… finalmente ne trovo una con ancora acqua a sufficienza.

Inizio a cambiare la seconda cassa e mi accorgo che, nel frattempo, quella vecchia è sparita: ne sono stupita perché quando sono arrivata e ho iniziato al lavoro non me ne ero accorta.

Mentre osservo lo spazio dove c’era la cassa, arriva una signora che mi offre una fetta di torta al cioccolato di ottimo aspetto.
“Grazie ma non posso proprio: mi hanno messa a dieta!”.
“Eh, i dottori… le diete!”.
“Sa, un po’ di diabete, colesterolo… insomma: gli acciacchi dell’età”.
“Eh, signora mia, che vuole? Una volta le avrebbero consigliato di fare un figlio, ma ora chi si può permettere di farli, con quello che costano?!”.

Se ne va. Io mi sveglio.

Desiderio di maternità? Ogni tanto ci penso, ultimamente. E mi scopro spesso a guardare con grande gioia i volti dei e delle neonatə. In carrozzina o in braccio alle mamme. Effetto degli ormoni?

Ho sempre invidiato il sentirsi crescere dentro la creatura. Poi mi ricordo di quello che segue, le notti, la fatica, le preoccupazioni, … l’adolescenza!!!

No, sono troppo vecchia per un figlio! Ho iniziato a desiderarli intorno ai venti – ventun anni e mi ero posta il limite assoluto prima dei quaranta. Avevo ragione: poi le energie mancano. Sono sempre stata convinta che bisogna poter giocare e crescere insieme a loro.

Vita da donna (real life ̷t̷e̷s̷t̷)

I rapporti con la nuova non-collega direi che sono ottimi.

Mi sono presentata come “Chiara” e “Chiara” sono. Non può sbagliarsi sul nome, perché quello anagrafico non lo conosce, né sul genere, perché mi ha conosciuta al femminile. Mi piace questa mia nuova fase di vita!

Vorrei solo avere occasione di poterle parlare, noi due sole, per poter capire ed eventualmente risolvere suoi eventuali disagi.

Condividiamo lo spogliatoio e, anche se finora non è mai capitato, potremmo iniziare o finire il turno insieme.

Parlo di suoi probabili disagi ma forse proietto il mio: finché non sarò operata credo mi sentirei in imbarazzo a cambiarmi davanti a un’altra – a parte M., ma è un altro discorso – con quell’orribile bozzo nelle mutande.

Immagino anche lei potrebbe imbarazzarsi. Magari per niente e – mi ripeto – forse il disagio è solo mio… dovuto a quella cosa che si chiama disforia, in questo caso per i genitali.

Mi piacerebbe chiarire, chiarirmi, per poter vivere entrambe più serenamente.

Non so perché ma mi viene in mente questa canzone degli Skiantos – ah, ve l’ho mai detto che, in una vita precedente, suonavo la batteria?

Finalmente ci presentiamo

Credo sia opportuno un piccolo prologo, rileggendo gli ultimi articoli.
No, non sono in crisi pre-adolescenziale, non sto aspettando di incontrare una nuova potenziale fidanzatina – ve l’ho mai detto quanto sia innamorata di M.?.

È la prima volta, invece, che, in ambito lavorativo, mi capita di essere introdotta e presentata come donna. Punto. E basta.

Se ieri eravamo entrambe in fuga, stamane siamo all’inizio della giornata.
Si affaccia nell’ufficio dove io e il mio collega abbiamo la scrivania condivisa, sta per uscire ma appena mi alzo si avvicina e finalmente ci presentiamo.

Odio le toccatine di gomito!!! Ma ormai è l’unico gesto formale – sul quale si può lungamente discutere riguardo l’igienicità, visto che ci insegnano a starnutire nel gomito per poi strofinalo su quello di altrə.

Non sono una dal contatto fisico facile, con persone con cui non abbia almeno una certa intimità, ma sto sviluppando una seria crisi d’astinenza da abbracci o, almeno, strette di mano.

Mi accoglie con molta gentilezza. Mi sembra subito simpatica.

Nella giornata, quando ci rincontriamo, mi saluta sempre “Ciao Chiara”. Senza esitazioni e sempre con simpatia.

Ecco, qui mi viene un cruccio: al lavoro tutti mi salutano “Ciao Chiara”, tutti si salutano per nome. Io non lo faccio mai: saluto sempre, “Ciao”, “Buongiorno”, ma non aggiungo mai il nome del* destinatariə.

Ogni tanto mi sento in colpa, ma non sono abituata. Anzi sono proprio abituata a non usare il nome. Un po’ perché con i nomi sono spesso un disastro, impiego troppo tempo a impararli e ogni tanto me li dimentico. Ma soprattutto per una questione d’abitudine.

Che sia orsa lo so, lo sapete – a volte me ne vanto, ma non ne sono così orgogliosa – ma ogni tanto sospetto di poter apparire sgradevole o quanto meno antipatica. Ma per quanto possa sembrare difficile crederlo, la mia indole è molto timida. Chi mi conosce sa che sono fatta così. Spero di non deludere, a prima vista, chi ancora non mi conosce.

Già da prima di incontrare la nuova non-collega mi domandavo: “le avranno già detto di me?”. È stata così gentile, carina, neanche un minimo di perplessità…

Poco dopo scopro che il collega a cui è stata affiancata l’aveva preavvisata.
Me lo dice lui, in privato, scusandosi ma ritenendo che fosse meglio dirglielo.

Lo ringrazio. I coming out sono emotivamente dispendiosi, li evito volentieri. Però un po’ cancella la sensazione di piena accoglienza di cui mi ero un po’ illusa.

Primo incontro

Ho sperato di incontrarla per tutta la mattina ma la incrocio solo a fine turno.

Facciamo solo in tempo a guardaci. Poi lei esce in servizio e io a casa di corsa per preparare il pranzo al pargolo.

Sì, lo so: non ve ne frega niente!
Forse andrà meglio alla prossima puntata. E non vi siete neanche dovutə sorbire messaggi pubblicitari! 😇

Nuova collega in arrivo

No, lo so, non è proprio una collega – tecnicamente – perché lavoro in appalto. In ogni caso condivideremo gli spazi.

Già settimana scorsa avevo notato che lo spogliatoio femminile si è allargato e sapevo che era in arrivo una nuova persona.
Dovrebbe iniziare oggi ma io sono di riposo. La incontrerò domani.

Ansia?
No, finora è andato tutto bene, al lavoro.

Sarà ancora così?
Sono stata accolta – e bene – da tutto l’Ufficio. Vorrei tanto fosse così anche con lei.