Mi devo emancipare!

Lo so, mi lamento sempre e invece dovrei baciare e cospargere di fiori dove passa M.: non mi ha buttata fuori di casa, mi ama ancora – almeno a modo suo – e sopporta le mie paturnie.

Questo non toglie che mi debba emancipare!

Ci sono momenti in cui mi sento solo un peso, momenti in cui vorrei avere di più, sia di affetto che economicamente… e troppo spesso mi pare di essere l’unica in famiglia a dover rinunciare quasi a tutto, per far quadrare il bilancio, pure a dei farmaci e a degli integratori prescritti, per non parlare dei trattamenti estetici – elettrocoagulazione dei rimanenti peli del viso e logopedista per addolcire il mio vocione – che, non essendo vitali, sono rimandati sine die ma sarebbero necessari per una mia piena affermazione.

Poi posso spostarmi sempre di meno: dopo il tramonto non posso più guidare, e chissà per quanto potrò conservare la patente, a causa delle troppe patologie che si stanno accumulando.

I miei contatti ormai, a parte la famiglia, in casa, e il lavoro, sono quasi esclusivamente virtuali… vien quasi da benedire il covid per averci dotato di strumenti, o meglio di averci costrettə ad abituarci a usarli.

Avrei bisogno di spostarmi in un ambiente più urbano: qui senza macchina non si può nemmeno pensare di muoversi. Ma di trasferirsi né M. ne F. ci pensano proprio, anzi: non hanno nessuna intenzione di lasciare questo paesino, tanto bello quanto isolato.

Sì, lo so: mi vanto sempre di essere un’orsa montanara. Vero! Però questa è a mala pena collina, non montagna, e per quanto orsa o forse proprio per esserlo mi sento in trappola.

Ho bisogno di un reddito, vero, adeguato, con cui potermi autodeterminare. Ho bisogno di un tetto, di mezzi pubblici affidabili e, ahimè, vista la condizione di gambe e schiena ne avrei bisogno in pianura.

La montagna mi manca ma ormai è rimasta solo un sogno e, ne sono sicura, è la sua carenza che ha aggravato le mie condizioni fisiche – e psichiche.
Ah, dimenticavo: ho bisogno d’amore. Di amore ne ho tanto, ma per quanto può durare un amore così a senso unico?

Come non pensare a Pino Daniele, in questi giorni, e soprattutto a Voglio di più!

Stati d’animo: gli addii

Stazione.
Mi ha accompagnata al treno, per andare al lavoro, come normalmente succede nei fine settimana.

La saluto con un bacio, me ne scappa un altro e un altro ancora.
Il quarto atterra sulla guancia, perché si è girata. Commenta:
— Come sei affettuosa oggi!
— Mi manchi!
— Ma viviamo insieme!?

PTHUMPHTF!
Ma cosa ci faccio – io – (ancora) qui?!

“Come sei affettuosa oggi” pare ormai essere la sua safe word quando esagero e nel bacio metto po’ più di passione o lo ripeto… messaggio ricevuto!!!

“Pthumphtf!” è invece il suono che ho sentito distintamente dopo “Ma viviamo insieme!?”. Non so se a causarlo sia stato l’infrangersi del mio cuore, la caduta delle gonadi, un rigurgito d’orgoglio… o tutt’e tre.

So che la mia mente, con quel suono, è tornata istantaneamente indietro di cent’anni, al Futurismo e a questo quadro dal quale rubo il titolo. E che da stamattina mi risuona in testa questa canzone, forse per le difficoltà che ho ultimamente a respirare e…

Stati d’animo serie I. Gli addii

E poi mi sorprende…

Mi lamento, sempre, continuamente, mentre dovrei solo incensarla.

Perché sì, ripete sempre “poi si vedrà”, ma poi mi sorprende con gesti di profonda tenerezza, di affetto, di amore. Quando meno me l’aspetto e, spesso, quando ne ho più bisogno.
Un bacio, una carezza, uno sguardo…

L’amore glielo leggo anche negli occhi – almeno quando non la faccio arrabbiare – ed è profondo.

Io mi lamento e lei mi sorprende.

Io mi lamento e lei mi ama.

Io mi lamento Basta lamentarmi! Devo concentrarmi sull’amore che ho da dare e su quello che mi donerà, giorno per giorno… Poi si vedrà, ha ragione lei!

(No, sempre no, vi ho sentitə: non esageriamo! 🤭)

Sogni di fuga

Stanotte ho sognato di evadere da una specie di manicomio a bassa sicurezza in cui ero rinchiusa, aiutata da mia moglie che era venuta a trovarmi.

Scavalco in un punto facile, salto, atterro e inizio a correre – eh, bello come può funzionare il corpo nei sogni! 😃

Poco dopo butto cellulare e borsa – quella da coscia che uso al lavoro. Me ne pento subito ma almeno così, penso, non mi possono rintracciare.

EquisetoNella fuga mi ritrovo in una valle ampia, verde, coltivata, direi del Trentino, per orografia. Mi infilo in un canneto, una specie di campo di equiseto gigante, dalle foglie lanceolate, verdi e con l’interno più chiaro, con una bellissima cima fucsia, che mi ricorda NON UNA DI MENO: mi rilasso, rallento. Il mio cuore è felice, mi sento al sicuro.

Uscita dal verde mi ritrovo in zona urbana e mi metto in coda – lunga – per i bagni pubblici. Sono quasi tutte donne, tranne un uomo che si lamenta perché occupano anche i servizi maschili.

Le porte non si chiudono – non ci sono o forse non vogliono chiuderle?
Tutte salgono accovacciate sulla tazza, mostrando la schiena. Io non riuscirò mai a salire così, ma non posso farla in piedi né mi potrei sedere senza porta: si vedrebbe il coso. 😱

Il “bisogno” è reale – come sempre, quando sogno toilette e minzioni – e mi sveglio per andare in bagno, interrompendo la storia, la “fuga”, che mi piacerebbe riprendere quando torno a dormire, per vedere come finisce.

Nel frattempo, per quanto intontita, una cosa la so bene: il coso NON LO VOGLIO PIÙ!

Il sogno riprende ma a modo suo, ovviamente. Non mi ricordo – al risveglio – che cosa sia successo. Ho solo tracce – o forse un mero sentore – di viaggio e avventura, che peraltro sono un po’ il mio standard onirico.

In ogni caso al risveglio avevo ben scolpita in testa, come se la stessi pronunciando realmente, questa frase, che potrebbe essere l’incipit del mio nuovo romanzo, se sapessi scrivere e se non fosse che forse potrei già pubblicare un libro con tutti quelli che mi sono segnata, da qualche parte:

«Sta pensando alla paura ma non ne prova: non se ne sente l’odore».

Poi si vedrà!

Stasera usciamo a cena da amici. Ci conosciamo da una vita. Io da quasi quarant’anni, M. da quando vive con me.

Ci vedevamo spesso, almeno finché i figli sono stati piccoli. Età compatibili.

Ridicolmente abbiamo iniziato a frequentarci di meno da quando siamo tornate a vivere più vicine a loro. Casi della vita, abitudini… ma in effetti da quando abitiamo qui la nostra vita sociale è decisamente crollata: mutuo, crisi economica, disoccupazione, transizione… per non parlare del covid.

Sono molta affezionata a loro e ci tenevo a dirgli di me di persona: ci sono persone per cui nessun messaggio può essere meglio di una lunga attesa. Unica paura era l’outing… li avevo anche incontrati qualche mese fa in un supermercato: io ero piuttosto en femme, ma come fai a fare un coming out nel reparto verdure, il settore più affollato tranne la rosticceria sotto le feste?

Serata piacevolissima. M. è stata decisamente più in chiacchiera di me… finché non ho iniziato a raccontare del mio percorso.

Se da una parte mi sono sentita pienamente accolta e mi hanno chiesto se avevo già scelto un nome e da subito sono stata “Chiara”, dall’altra M. si è spenta, non ha più parlato.

Certo i riflettori si sono posati fissi su di me, ma anche quando ho raccontato che abbiamo – ha – scelto di convertire il matrimonio in unione civile, cercando di coinvolgerla con uno sguardo per conferma, la risposta è stata lapidaria: “Poi si vedrà”.
Fredda, distaccata.

“Poi si vedrà”. Il leitmotiv del nostro rapporto, negli ultimi anni.

Più mi mostro al mondo come donna, più vengo riconosciuta come tale, più mi avvicino alla sentenza, alla mia affermazione e più mi sembra si stia allontanando.

Non mi sto lamentando: dovrei spargere petali sul suo cammino solo per essermi restata accanto finora, nonostante tutto.

Ho solo una gran paura di perderla e di perderla male, definitivamente. Ho sempre paura di sbagliare, cercando di averla vicina.

L’ho persa come amante, non voglio perdere il suo affetto, la sua complicità.

La porta è sempre stata aperta come il mio cuore. E sempre lo sarà, purché non finisca con il classico “però possiamo restare amiche”.

Lo so, ho fatto tanti errori: could we start again, please?

Paura e dolore

Ci ho pensato tutta la notte. E francamente pensavo di cancellare l’articolo di ieri.

Invece no. Perché riflettendo ho capito. E serve un mea culpa.

Mi rendo conto di essere tremendamente egoista: quello che sono non è colpa mia ma ancor meno sua. Mi è stata vicina molto più di ogni aspettativa.

Non posso pretendere che sia lesbica. Me ne ero illusa ma non lo è.

E di amore, per me, ne ha tanto. Forse anche più del mio per lei.

Gliel’ho letto negli occhi stamattina. L’ho sentito dal bacio.

Inizio a credere che il suo silenzio sia dovuto alle paure e al dolore che si tiene dentro. Dovrebbe aprirsi, magari con un aiuto professionale, ma non lo fa. E io la sto tenendo in trappola.

Io ho bisogno di liberarmi, ma lei ne ha ancora più bisogno e forse ha bisogno di liberarsi di me.

Non posso scaricare tutto su di lei, anche se ormai le domande in sospeso sono tante, troppe! Devo avere pazienza e rispettare i suoi tempi, anche se il mio futuro volge al fosco.

Ce la posso fare?

Futuro

Abbiamo appena finito di cenare. Siamo sole.

Mi guarda, ricambio e le dico: “sto pensando al futuro, sono un po’ preoccupata”.
Abbassa lo sguardo.

Provo a rilanciare che “lo so, non dovremmo preoccuparci del futuro – citando la parabola evangelica degli uccelli del cielo e dei gigli del campo [ndr. Matteo 6,25-34.] – ma non ci riesco”.
“Non conosco quella storia”.
Riassumo brevemente.
Silenzio.

Sì, lo so, forse la colpa è mia. Forse dovrei insistere. Affrontare l’argomento, andare avanti… forzare… ma avrebbe senso?

È il MIO punto di vista. Il DANNATAMENTE mio punto di vista. E qui non c’è contraddittorio: per quel che so continua a non leggere neanche una riga del mio blog.

Ma se qui non c’è contraddittorio a casa non c’è dialogo. Bisogna essere in due per un dialogo. E ogni mio tentativo finisce nel vuoto, in un imbarazzante silenzio.

Ci amiamo ancora?

Sono conscia delle mie condizioni, economiche e di salute. E lo è anche lei. Ma l’ultima cosa che vorrei è la pietà.

Lo so, le ho chiesto molto in questi anni. Troppo, decisamente troppo! Sia ben chiaro, anzi, sarò chiara: sono io la stronza. Io mi sono illusa potesse amarmi anche da donna. Io le ho rovinato la vita. Ma sono sempre stata sincera. Fin dal primo giorno. E sono passati diciassette anni, giorno più, giorno meno. Siamo insieme da ventidue anni e abbiamo un figlio da quasi venti.

Se potessi scegliere cancellerei tutto, riavvolgerei il nastro e riprenderei la mia vita, la nostra vita, così com’era: da felice coppia etero-normata.

Ma chi vive la mia condizione lo sa: non è una scelta, si può solo scegliere di negarsi e reprimersi. Insomma: qualcunə deve farsi male. Che brutta storia è l’amore, in questi casi.

Nanna

«Ciao, vado a nanna.»
«Ma non dovevamo fare all’amore?!»
«No!»
C’ho provato…

[nda: non osate correggermi la grammatica!]

Riunione familiare? Ma anche no…

Sono mesi che desidero e cerco di organizzare una “riunione di famiglia”, senza riuscirci. Mancano pochi giorni all’udienza.

Buona parte ce l’ha messa la pandemia, impedendo a T. di poterci raggiungere.
Poi sono mesi, ormai, che T. non risponde ai messaggi né alle telefonate.

Sono preoccupata. Sì, molto, e combattuta se prevaricare il suo diritto alla privacy o aspettare che si decida a rispondermi. Mi sembrava mi avesse accolta, sono io il problema?

Neanche F. riesce a contattarlo e sono sempre stati legati, come fratelli.
In ogni caso, fra poco ci sarà l’udienza. È la prima, difficilmente cambierà tutto, ma qualcosa cambia.

Sono mesi, mi ripeto, che vorrei parlare con la mia famiglia di “futuro”.

Stasera ho chiesto a M. se potevamo prenderci cinque minuti (5!) a cena per parlare un po’, invece del solito fuggi-fuggi – F. per primo – dopo aver ingollato l’ultimo boccone, spiegando anche della mia preoccupazione riguardo T. che vorrei presente ma, al momento, latita.

M. mi ha guardata stranita – spaventata? – senza commentare.
Ovviamente a cena il copione è stato il solito: rimango seduta da sola, a finire l’ultimo boccone: colpa mia, sono lenta!

Io ho bisogno di voi.
Voi, di me, forse no.
Forse senza forse, anzi, direi, proprio senza.

Sono ingombrante, lo so, e non solo per stazza. Ma cosa potrei fare? Come potrei liberarvi di me? Con il lavoro che ho, senza alcuna possibilità di emanciparmi. Avrei davvero bisogno di capire.

Sarà il periodo – da poco è passato un anniversario – allora non mi avete lasciata andare, anzi poco dopo F. si è riavvicinato a me e mi si era riaperto il cuore.
Ma ora?

Speravo solo di ragionare su come essere chiamata in pubblico, soprattutto con persone che non conoscono la mia, la nostra storia.
Ma forse è un argomento che riguarda solo me. Già!

Questi sono solo appunti, non allarmatevi, ma in queste occasioni sono parole che rimbalzano in testa vigorosamente:

Ti ho delusa, ho rovinato la tua vita:
la prossima volta non fermarmi.
È la mia unica via di uscita!?