CPS: La relazione è pronta!

Suona il telefono. Riconosco il numero. Mi brillano gli occhi!
— Chiara?
— Sì, buongiorno.
— Chiamo dal CPS di Laveno, la sua relazione è pronta.
— Grazie!!!

Come mi aveva promesso la dottoressa, giusto un mese dopo la visita, la relazione psichiatrica richiesta dal tribunale è pronta. Perfettamente nei tempi per il deposito, con giusto anticipo rispetto alla prossima udienza.

Non vedo l’ora di leggerla, e voi?!

Ora devo solo pagare il super-ticket da 50,00 €, perché la prestazione è considerata extra-LEA, e andare a ritirare il papiro.

Se non fossi sola, quella bottiglia di prosecco che tengo in fresco per il ritorno di M. dalle vacanze avrebbe vita breve! 😇

Visita psichiatrica. (Sì, ancora!)

Oggi per me e molte altre persone che, come me, vent’anni fa eravamo a Genova è un giorno di sofferenza. Di grande sofferenza. Questo anniversario è anche tondo, il che lo fa rimbombare di più.

Non è questo il luogo, per quanto politico, per affrontare il ricordo di quei giorni. Da quel giorno, dopo aver respirato a lungo – direi gratuitamente – gas CS, i miei polmoni non sono stati più gli stessi, nonostante fumassi già da molti anni. Fra tutti i miei acciacchi, ora che sono in TOS e attendo l’operazione di riassegnazione chirurgica del sesso, i problemi di respirazione si fanno sentire sempre più e potranno essere problematici, se non ostativi.

La ferita più grave, di Genova, è però psicologica: in questo giorno, da vent’anni, soffro e piango ricordando. Oggi però ho anche la visita psichiatrica per la relazione richiesta dal tribunale.

Lo so da tempo, ma non vorrei che le mie emotività per questa giornata possano influire sulla mia valutazione.

La dottoressa l’ho già incontrata, in un’occasione che non mi piace ricordare ma mi ricordo di lei come figura positiva. Lei ovviamente non si ricordava di me, finché non ha visto le carte del PS che ho inserito nella varia documentazione che ho portato con me: ho già portato varie copie al CS ma una copia in più serve sempre. 😉

Non posso che confermare la mia impressione sulla dottoressa: gentilissima, disponibile, attenta, interessata, ascolta e chiede chiarimenti per ogni termine o situazione che non conosce. Da subito si è dichiarata senza conoscenze sulla disforia di genere e sulle transizioni. Ma, appunto, rimane allibita dal fatto che ci serva una diagnosi psichiatrica di disforia di genere per accedere al percorso: “voi non siete malati, perché dovremmo patologizzarvi?!”.

Fra di noi c’è uno schermo di plexiglas che evita che possa abbracciarla fisicamente, da parte mia e di tutto il movimento trans*. Resta comunque forte l’abbraccio virtuale che spero abbia letto nei miei occhi.

Quando poi le spiego l’evoluzione fra disturbo del DSM-IV, disforia del DSM-V e incongruenza dell’ICD-11, dopo aver apprezzato lo spostamento della nostra condizione nella salute sessuale mi ringrazia dicendomi: “lei ne sa ben più di me!”.

Nel frattempo segna, legge, scrive, domanda. Ma soprattutto, alla fine mi informa che dovrebbe avere tutte le informazioni per scrivere la relazione. In caso di incertezze mi chiede la disponibilità per essere contattata per integrazioni che ovviamente confermo con entusiasmo.

Tirando le fila

Da vicino nessunə è normale
Franco Basaglia
Caetano Veloso*

Venerdì scorso, l’11, iniziato da poco il turno di lavoro, mi richiama il CPS di Laveno. La visita psichiatrica è fissata per il 20 luglio.
Quello che ne seguirà non lo so, non me lo dicono, l’infermiera parla solo di visita. Il tono di voce non mi infonde molte speranze, ma il mio telefono è vecchio, fa caldo, sono sotto al sole. Chi mi chiama ha, probabilmente, anche più diritto di me di essere stanca.

Ieri, martedì 15, mi richiama, come promesso, il CPS di Azzate. Sentito lo psichiatra, mi confermano che per competenza “territoriale” devo forzatamente rivolgermi al cps di Laveno, che ha dichiarato di non avere “competenza” per fornire la documentazione richiesta dal Tribunale. Ma che, nel frattempo, mi ha comunque fissato una visita-colloquio psichiatrico.
L’infermiera di Azzate mi dà il nome del Primario di Psichiatria, da contattare in caso Laveno non riesca a risolvere la richiesta del Tribunale. Però non mi sa dare contatti né sa dirmi in quale struttura svolga la funzione di primario.

Oggi ricevo una risposta dal servizio psicologico del Centro di Niguarda. Mi fanno notare, come più volte ho evidenziato, sin dalla prima telefonata, che il tribunale richiede documentazione psichiatrica. Mi invitano quindi a rivolgermi allo psichiatra del centro. Eh, già: come ho fatto a non pensarci? Rimedierò domani!

Ma ringrazio, davvero: non sono sarcastica! Ho bisogno di tutto l’aiuto che volete o potete darmi.

Vi confesso però che sono vicina alla disperazione. Vicina a credere di essere matta. Davvero. State iniziando a convincermi di essere un caso psichiatrico!

Perché, se quando sono così vicina a sentirmi, finalmente, me stessa, riconosciuta non solo da parenti, amiche, amici, colleghə, lo Stato decide che qualcunə debba nuovamente strizzarmi il cervello per descrivere quello che pensa di me, allora, forse, sono davvero matta!

Ma attenzione: non è che poi, se io sono matta e mi avete creduta, lo siete un po’ anche voi che mi avete accettata, accolta, amata per quel che sono?
Chiedo per un’amica! 🤭

***

Riflettendo: è una formalità, o una questione di qualità?
E io sto bene? Io sto male?

Importa?

 


* “Da vicino nessuno è normale”, in portoghese “De perto, ninguem é normal”, deriva da un verso di Vaca profana, di Caetano Veloso. Cfr. http://www.news-forumsalutementale.it/cosa-non-ha-detto-franco-basaglia/

Qualcosa si muove

Basta piangere. È ora di agire. E di risolvere.

Appena sveglia cerco i contatti e provo a chiamare i CPS di Azzate – su consiglio di un un caro amico a cui hanno rilasciato certificazione che, nel suo caso, è stata accettata dal Tribunale – e di Varese – se Laveno non ha competenze, anche perché sotto-organico, essendo capoluogo ha più probabilità di potermi aiutare.

Come mi aspettavo i telefoni squillano a lungo, a vuoto od occupato.
Nel frattempo ne approfitto per scrivere direttamente al dr. Bini, come mi ha suggerito ieri la segreteria del centro di Niguarda.

Il responsabile del servizio per l’adeguamento delle identità di genere – nonché del Centro per la Fertilità e Sterilità – mi risponde poco dopo, informandomi di aver inoltrato la richiesta a chi di dovere. Non so a chi ma vedrò come procede, quando mi ricontatteranno.

Poco dopo finalmente si libera la linea di Azzate e riesco a parlare con un’infermiera. Le spiego la mia situazione e il mio problema. So che i CPS sono suddivisi per competenza territoriale ma non potendo essere aiutata da Laveno – cui dovrei far capo, per residenza – né, dal punto di vista psichiatrico, da Niguarda – accettano di considerare la mia richiesta e mi danno le informazioni per accedere al centro, con un triage infermieristico prima di prendere appuntamento.

In pomeriggio mi richiamano: si sono giustamente consultate con Laveno che, saputo che Niguarda non mi può aiutare, pare siano ora più disponibili a provare ad aiutarmi.

In ogni caso martedì si consulteranno con lo psichiatra del centro per capire come aiutarmi. Rimangono comunque disponibili nel caso Laveno non possa aiutarmi.

Richiamo quindi Laveno e parlo con l’infermiera con cui mi sono sempre trovata in empatia. È lei che ha parlato con Azzate. Le rispiego le mie necessità, le carte – del tribunale e dell’avvocato – le ha già in mano. Domani parlerà con la dottoressa per capire se posso avere un incontro con lei e cosa possono fare con me.

La informo che avrò una risposta da Azzate per martedì e rimaniamo d’accordo di aggiornarci la prossima settimana.

Non c’è ancora una soluzione ma almeno non è più tutto nero.

Sono stanca. Sono sempre molto stanca, ultimamente. Ma almeno non piango. Non oggi.

Niguarda, mi potete aiutare?

Oggi doppio turno. Ma oggi è anche il giorno in cui so che da Niguarda potrebbero rispondere al telefono.

Per regolamento mi sarebbe vietato fare e ricevere telefonate, durante il servizio. Spero, se mi leggono, che capiscano perché non potevo fare altrimenti: sono disperata!

Dopo vari tentativi a vuoto – non lo fanno apposta, non sono indolenti: dovreste vedere quante persone cerca di soddisfare l’unico centro lombardo dedicato all’adeguamento dell’identità di genere. E vengono anche da tutto il nord-Italia – finalmente rispondono. Nonostante la lunghezza e – mi rendo conto – la confusione della mia richiesta, l’infermiera è gentilissima. Purtroppo non sa come aiutarmi: ora a Niguarda non hanno più un servizio psichiatrico ma solo è attiva solo la consulenza psicologica.

Mi consiglia di scrivere al dr. Bini. Lo farò domattina, sperando che abbia il tempo di leggermi e rispondermi, perché anche lui è oberato di richieste. Lo so.

La visita di controllo è fra circa un mese. Spero di risolvere prima ma rimane la mia carta di riserva.

Non ditemi che non ci sto provando!

CPS: respinta al mittente!

Ieri pomeriggio, verso sera, ho smesso finalmente di piangere, dopo tre giorni e, soprattutto, due notti.

Mi sono ripresa.
Mi “ero” ripresa.

Stamattina sono andata al CPS per portare il verbale dell’udienza e lettera dell’avocato per chiarire, come richiesto da loro, cosa mi serve da loro, con la speranza di poter abbreviare i tempi.

In pomeriggio mi chiamano… WOW, di già!? Non ci posso credere!!!

Eh, infatti, no, chiamano solo per dirmi che “non hanno le competenze per stilare la relazione richiesta dal Tribunale”.

A niente valgono proteste, richieste di spiegazione, suggerimenti…
“È solo una valutazione psichiatrica!”.
“No serve una specializzazione che non abbiamo”.
“Chiedono solo di valutare se sono sana di mente e se sono disforica per il genere – questo l’avete già certificato! –, se sono matura, determinata e se la mia decisione può essere valutata come irreversibile”.
“Non abbiamo le competenze per farlo”.

Mi consigliano di contattare il servizio di Niguarda, dove ho già iniziato un percorso e dove, secondo loro – come effettivamente appare su infotrans.it –, i tempi di attesa sono solo di quaranta giorni. Se non fossi preoccupata, triste e arrabbiata, scoppierei a ridere! Cerco anche di spiegare che i tempi medi di primo accesso a Niguarda sono di circa sei mesi, ma ovviamente la mia voce cade nel vuoto.

Mi dicono anche che potrei potrei provare a rivolgermi ad altri CPS del territorio, come si fa per qualunque visita… Obietto che, sul sito dell’ASST Sette Laghi, è chiaramente indicato che l’accesso ai CPS è legato al distretto relativo al Comune di residenza. Ribadiscono che non è così: proverò!

Poco dopo richiamo, sono ancora infuriata ma cerco (almeno spero) di essere gentile. Chiedo se almeno mi possono fare uno scritto per giustificare perché non possono rilasciare la relazione relazione richiesta.

Mi rispondono che “non funziona così”, che loro rispondono al Tribunale solo quando è il tribunale a chiedere consulenza.

Ah, quindi le “COMPETENZE” le hanno, per il Tribunale, ma non per me?
Ma se è così che funziona “il sistema”, perché la giudice onera me della prova, invece di chiederla direttamente alla struttura?

Avevo il terrore di finire sotto CTU ma, forse, poteva essere più semplice?

Eh, evidentemente con me la sfiga prende proprio la mira.

Fino all’altro giorno giorno ho sempre parlato con un’infermiera molto gentile ed empatica. Oggi con altre due infermiere. Mi domando solo: la non competenza specifica l’ha decisa la dottoressa o lo staff infermieristico che fa da filtro?
Chiedo per un’amica! 🤭