Sto partecipando a una riunione online con persone con cui sto seguendo un progetto e vengo coinvolta in un altro: AdE, tutto volontariato, eh! – Chissà come mai sono sempre stanca e sempre squattrinata? 🤔
Nel nuovo progetto verrei coinvolta come grafica editoriale, attività che ancora svolgo in modalità no profit – ma che, al di là delle risatine sul fisco, mi piacerebbe davvero molto tornare a svolgere professionalmente.
Il progetto coinvolge gli organi genitali in situazioni particolari e io sarei coinvolta, oltre che per la grafica anche perché… pur essendo tutte donne, nel gruppo, io sono portatrice di pene.
No, non come l’ambasciatore o ambasciatrice, per essere gender friendly – argomento sul quale ora sono troppo nervosa per parlarne, dopo le recenti discussioni sull’articolo dell’Accademia della Crusca sul neutro, lo schwa e gli asterischi.
Quel coso lì, di cui tutti i maschi cis vanno più o meno fieri, salvo volerlo allungare o allargare.
Quel coso che le donne come me in genere non vedono l’ora di sistemare e dimenticarsi di averlo avuto. Essendo poi notoriamente lesbica, non credo di poter vantare molta esperienza sul membro.
Quindi sì, sul tratto, sul disegno, magari posso dire qualcosa. Ma sull’eticità dei testi, dei contesti e delle presentazioni grafiche… boh!?
Io sono una donna!
Pensavo di essere in un ambiente protetto. Vero: non ho fatto un coming out esplicito come mi era stato anche suggerito, ma mi sembra di essere anche abbastanza evidente, sia per aspetto che per voce: per quanto virtuali, i primi piani sono infami rispetto al passing.
Non mi aspettavo comunque un outing. Non così netto, per quanto forse non necessario e già evidente.
In ogni caso da una persona, a cui mi ero molto affezionata, così sensibile sulle differenze di genere e gli orientamenti sessuali non mi aspettavo uno scivolone di questo tipo: sono nata con un pene e quindi sono esperta di cosa possa pensare un pene, o il suo portatore, riguardo la sua raffigurazione.
Dimenticandosi una piccola parola: “disforia”, che unita a “di genere” ha generato una “diagnosi”, psichiatrica, che mi ha dato accesso al percorso di adeguamento di genere.
Per quanto io sia contraria al termine “disforia”, quando inteso patologicamente, per descrivere le persone come me, con un sesso biologico incongruente al genere percepito, la disforia esiste. La proviamo tuttə. Chi più chi meno.
La disforia è l’esatto contrario dell’euforia. Non è depressione, anche se ci assomiglia. Pensate a quando siete euforicə… ora pensate all’esatto contrario: ecco, forse ci siete riuscitə.
Quando ricordate i genitali di nascita a una persona transgender, non binaria o gender-fluid, le state inoculando una dose massiccia di disforia.
Non tutte le persone transgender hanno problemi con i propri genitali, ma il fatto che voi stiate bene con i vostri non vuol dire che sia così per tuttə!
Tutto questo mentre mi stavo rimettendo appena insieme dopo l’udienza dell’altroieri, così, per dire…
Per concludere, tanto per farvi capire il mio rapporto pene: non ho mai pensato di tagliarlo via solo perché so perfettamente quanto siano preziosi la pelle, i vasi e il glande per ricostruire una vulva, con un’uretra e una clitorid funzionanti… e chissà, magari anche una vagina!
Ma no: non lo sopporto più!
E detesto parlarne.