È successo. Prima o poi doveva succedere.
Lo so, non dovevo. Ma dopo l’udienza – se così possiamo chiamarla – non sopporto più che venga messa in dubbio la mia identità di genere: IO SONO UNA DONNA! Punto, esclamativo!
Ho appena compiuto due anni di lavoro, ieri. Lavoro nel pubblico, in appalto, con un’utenza piuttosto vasta e, lavorando in località turistica, anche molto internazionale. La maggior parte dell’utenza, forse solo escludendo chi mi ha conosciuta all’inizio di questo mio lavoro, ormai si rivolge a me al femminile, nonostante la divisa.
Verso la fine del turno sto iniziando un processo sanzionatorio. Mentre procedo arriva l’utente e mi fermo: il suo arrivo, di fatto interrompe il mio procedimento, non posso proseguire.
La signora, con figlia, è molto gentile, si scusa e dichiara di essersi resa conto del fatto vedendomi.
Mi chiede se può pagare subito.
La rassicuro: “guardi, ho già annullato tutto!”.
“Ah, quindi mi arriva a casa?”.
“No, no, non arriva niente. Ho annullato la procedura”.
“Oh, ma è davvero gentilissimo!”.
E qui mi è scappato: “Veramente: gentilissima!”.
“Ah, mi scusi, davvero gentilissima!!!” con un largo sorriso.
Ora non crediate che basti un sorriso o un po’ di gentilezza e un sorriso per intenerirmi e farmi su. Ma vi ricordo che sono nata sotto il segno del leone e, per quanto io creda poco negli oroscopi, ci vuole poco a farmi estrarre gli artigli se mi fate arrabbiare.
Nel titolo ho usato “signora” che è un termine che non mi piace, perché le signore sono quelle che non devono lavorare per vivere – citando un film di cui non mi ricordo mai il titolo, forse declinato al maschile – ma non avrebbe fatto lo stesso effetto di “Gentilissima, veramente”.
Ma davvero posso non citare Loredana Bertè, a questo punto?