Colloquio di lavoro

Ho passato anni, troppi, senza lavoro, a inviare cv e rispondere a inserzioni – più di quattrocento all’anno, quelle catalogate – senza aver quasi mai avuto ricevuto risposte, salvo il primo e secondo colloquio che ho fatto per ottenere il mio lavoro attuale.

E… no, non era per la mia incongruenza di genere, nessuno o quasi lo sapeva. Ma quando la data di nascita rivela che hai più di cinquant’anni, non importa il tuo orientamento sessuale, e neanche il tuo genere, né l’identità di genere.
Importa che sei vecchiah! (O vecchioh!)

Ho avuto lo stesso problema a quarant’anni. Ma alla fine ce l’ho fatta a tornare a lavorare – in un modo o nell’altro – a cinquanta, ora cinquantacinque, è stata molto, molto più dura: decisamente troppo giovane per la pensione – “nell’altro” indica, fra l’altro, anche la mancanza di contributi – e decisamente troppo vecchia per lavorare.
Sembra una frigna? Be’ spero per voi che non dobbiate mai verificarlo!

Oggi ho fatto un colloquio di lavoro. Il precedente è stato confermato e da ottobre lavoro, almeno fino a marzo. Prima: il vuoto assoluto, a parte varie selezioni ex art. 16 in cui spesso sono finita come la prima esclusa, per graduatoria.

Oggi ho fatto un colloquio con una corporate europea, una multinazionale che nelle dichiarazioni mette la diversità fra i suoi punti di forza. A livello corporate, sulla carta, ma siamo in Italia e l’accettazione delle diversità, fra le persone, non sempre è la stessa delle corporate per cui lavorano.

Ho passato giorni a pensare se presentarmi come uomo anagrafico o come donna effettiva. Per tutta la mattina ho pensato se e quanto truccarmi – sapete che “quanto” è sempre e comunque “leggero” – e fino al parcheggio ho considerato come presentarmi, anche durante il colloquio ho avuto la tentazione di presentarmi come Chiara. Ma ha vinto il curriculum maschile.

Non so come andrà la selezione, sicuramente non sono l’unica candidata, molto probabilmente ci sono persone più qualificate di me per quel lavoro. Però ci conto. Ci spero, anche se “la speranza è una trappola!” (cit.).

Spero in un secondo colloquio, e credo in quell’occasione non riuscirò più a mentire e che cercherò di spiegare chi sono.

Voi cosa avreste fatto al primo colloquio? Vi sareste dichiarat*?
Cosa fareste al prossimo colloquio? Prima o poi salterà fuori, io amo essere sincera.

Ormai quasi tutte le mie amicizie e buona parte dei (pochi) parenti sanno della mia transizione. Solo al lavoro mi “vesto” da maschio – non intendo solo la divisa – e ci soffro.

Ho bisogno di lavorare per vivere, “prima la sopravvivenza” mi disse la psichiatra, ma per me vivere vuole anche dire “essere me stessa”.

Ha più senso rischiare di non ottenere un lavoro perché ti dichiari in anticipo o perderlo perché ti dichiari dopo?

Posso continuare a mantenere due vite dentro di me? Una lavorativa, una personale e affettiva?

Quanto potrei reggere?