Sono mesi che desidero e cerco di organizzare una “riunione di famiglia”, senza riuscirci. Mancano pochi giorni all’udienza.
Buona parte ce l’ha messa la pandemia, impedendo a T. di poterci raggiungere.
Poi sono mesi, ormai, che T. non risponde ai messaggi né alle telefonate.
Sono preoccupata. Sì, molto, e combattuta se prevaricare il suo diritto alla privacy o aspettare che si decida a rispondermi. Mi sembrava mi avesse accolta, sono io il problema?
Neanche F. riesce a contattarlo e sono sempre stati legati, come fratelli.
In ogni caso, fra poco ci sarà l’udienza. È la prima, difficilmente cambierà tutto, ma qualcosa cambia.
Sono mesi, mi ripeto, che vorrei parlare con la mia famiglia di “futuro”.
Stasera ho chiesto a M. se potevamo prenderci cinque minuti (5!) a cena per parlare un po’, invece del solito fuggi-fuggi – F. per primo – dopo aver ingollato l’ultimo boccone, spiegando anche della mia preoccupazione riguardo T. che vorrei presente ma, al momento, latita.
M. mi ha guardata stranita – spaventata? – senza commentare.
Ovviamente a cena il copione è stato il solito: rimango seduta da sola, a finire l’ultimo boccone: colpa mia, sono lenta!
Io ho bisogno di voi.
Voi, di me, forse no.
Forse senza forse, anzi, direi, proprio senza.
Sono ingombrante, lo so, e non solo per stazza. Ma cosa potrei fare? Come potrei liberarvi di me? Con il lavoro che ho, senza alcuna possibilità di emanciparmi. Avrei davvero bisogno di capire.
Sarà il periodo – da poco è passato un anniversario – allora non mi avete lasciata andare, anzi poco dopo F. si è riavvicinato a me e mi si era riaperto il cuore.
Ma ora?
Speravo solo di ragionare su come essere chiamata in pubblico, soprattutto con persone che non conoscono la mia, la nostra storia.
Ma forse è un argomento che riguarda solo me. Già!
Questi sono solo appunti, non allarmatevi, ma in queste occasioni sono parole che rimbalzano in testa vigorosamente:
Ti ho delusa, ho rovinato la tua vita:
la prossima volta non fermarmi.
È la mia unica via di uscita!?