Poi si vedrà!

Stasera usciamo a cena da amici. Ci conosciamo da una vita. Io da quasi quarant’anni, M. da quando vive con me.

Ci vedevamo spesso, almeno finché i figli sono stati piccoli. Età compatibili.

Ridicolmente abbiamo iniziato a frequentarci di meno da quando siamo tornate a vivere più vicine a loro. Casi della vita, abitudini… ma in effetti da quando abitiamo qui la nostra vita sociale è decisamente crollata: mutuo, crisi economica, disoccupazione, transizione… per non parlare del covid.

Sono molta affezionata a loro e ci tenevo a dirgli di me di persona: ci sono persone per cui nessun messaggio può essere meglio di una lunga attesa. Unica paura era l’outing… li avevo anche incontrati qualche mese fa in un supermercato: io ero piuttosto en femme, ma come fai a fare un coming out nel reparto verdure, il settore più affollato tranne la rosticceria sotto le feste?

Serata piacevolissima. M. è stata decisamente più in chiacchiera di me… finché non ho iniziato a raccontare del mio percorso.

Se da una parte mi sono sentita pienamente accolta e mi hanno chiesto se avevo già scelto un nome e da subito sono stata “Chiara”, dall’altra M. si è spenta, non ha più parlato.

Certo i riflettori si sono posati fissi su di me, ma anche quando ho raccontato che abbiamo – ha – scelto di convertire il matrimonio in unione civile, cercando di coinvolgerla con uno sguardo per conferma, la risposta è stata lapidaria: “Poi si vedrà”.
Fredda, distaccata.

“Poi si vedrà”. Il leitmotiv del nostro rapporto, negli ultimi anni.

Più mi mostro al mondo come donna, più vengo riconosciuta come tale, più mi avvicino alla sentenza, alla mia affermazione e più mi sembra si stia allontanando.

Non mi sto lamentando: dovrei spargere petali sul suo cammino solo per essermi restata accanto finora, nonostante tutto.

Ho solo una gran paura di perderla e di perderla male, definitivamente. Ho sempre paura di sbagliare, cercando di averla vicina.

L’ho persa come amante, non voglio perdere il suo affetto, la sua complicità.

La porta è sempre stata aperta come il mio cuore. E sempre lo sarà, purché non finisca con il classico “però possiamo restare amiche”.

Lo so, ho fatto tanti errori: could we start again, please?

Ah, ma è una donna!

Oggi, al lavoro, una coppia di utenti mi fa una domanda mentre mi sono di spalle.

Mi giro e lui: “Ah, ma è una donna!…”.

Io allargo gli avambracci con sorriso sornione, nascosto dalla mascherina, e rispondo: “Heh, sì è da qualche anno che ci hanno dato il permesso di lavorare”.

Poi rispondo alle domande che riprende lei – dopo aver fulminato lui con lo sguardo.

Forse sono stata un po’ troppo sarcastica, essendo lui un utente, e io al lavoro, in servizio.
Ma quando ce vo’, ce vo’!

Ci tengo anche a sottolineare la soddisfazione personale del mio enorme ego, per il riconoscimento sociale, nonostante la divisa, oltre a quella per la stoccatina femminista.

Oui, je suis Chiará! 🤭

A volte ritornano

Sto dormendo. Ho avuto due giorni lavorativi pesantissimi e stanotte sono riuscita ad addormentarmi solo dopo le 3.

Suona il campanello della porta. Spero vada M. che è già sveglia da un po’: l’ho sentita alzarsi. Ma è incuffiata – come sempre – e non sente.

Risuonano.

Mi alzo, indosso qualcosa – dormo in mutande, almeno fino al freddo vero, sapevatelo – e vado ad aprire: ovviamente quando arrivo non c’è più NESSUNO! Avrei potuto dormire almeno un’altra ora.

A volte ritornanoVado in bagno e poco dopo dalla finestra sento voci urlanti, che riconosco: sono loro, sono ritornati! 😱

I vicini che stravolsero la quiete della corte in cui vivo, innescando litigate e situazioni infernali, con tanto di querele – presentate e poi ritirate da parte loro – sono tornati. Dopo quasi dieci anni ritornano ad abitare qui.

Riguardo le voci urlanti: no, non stanno litigando, è il loro il tono di voce usuale, quello che si userebbe in una chiamata intercontinentale utilizzando un telefono a bicchierini, quelli uniti con un filo – spago, ai miei tempi, poi si è evoluto con quello di nylon usato per la pesca… ma forse non tuttə siete così matusa come me per capire.

Sono ancora rincoglionita – scusate il francesismo, ma è necessario – dal brusco e anticipato risveglio e in più si fanno sentire mal di testa, dolori e crampi al ventre… lo sapevo da un paio di giorni che sarebbe arrivato il picco del non-ciclo, regolare come quasi sempre. Non potevano scegliere giorno peggiore – o migliore, dipende dai punti di vista.

Sarà una giornata dura, lunga… ma almeno ho una scusa per essere nervosa. 😡

Esco per la spesa e al ritorno incontro la nuovamente-vicina: “Ciao Deadname”.
Sono vestita decisamente carina, da donna, truccata, ho pure il reggiseno push-up… non posso perdere l’occasione: “Ciao… sai, sono cambiate un po’ di cose ultimamente, ora non mi chiamo più Deadname: ora mi chiamo Chiara!”.
“Ah!”, e rientra in casa senza aggiungere nulla, a parte uno sguardo.

Oltre al dolore pelvico, alla ferale notizia del ritorno dei vicini, mi si scatena – riuscissi almeno a capire come o perché?! – l’ipersensibilità uditiva, che mi confonde e mi sbilancia, e fra poco devo andare al lavoro.

Ho già citato Levante, in questo blog, come colonna sonora. Questa volta lo faccio con il titolo con cui ha raggiunto notorietà e successo, ufficialmente il brano è Alfonso, ma la canzone è anche più nota con un titolo alternativo, più adatto alla mia situazione.

Paura e dolore

Ci ho pensato tutta la notte. E francamente pensavo di cancellare l’articolo di ieri.

Invece no. Perché riflettendo ho capito. E serve un mea culpa.

Mi rendo conto di essere tremendamente egoista: quello che sono non è colpa mia ma ancor meno sua. Mi è stata vicina molto più di ogni aspettativa.

Non posso pretendere che sia lesbica. Me ne ero illusa ma non lo è.

E di amore, per me, ne ha tanto. Forse anche più del mio per lei.

Gliel’ho letto negli occhi stamattina. L’ho sentito dal bacio.

Inizio a credere che il suo silenzio sia dovuto alle paure e al dolore che si tiene dentro. Dovrebbe aprirsi, magari con un aiuto professionale, ma non lo fa. E io la sto tenendo in trappola.

Io ho bisogno di liberarmi, ma lei ne ha ancora più bisogno e forse ha bisogno di liberarsi di me.

Non posso scaricare tutto su di lei, anche se ormai le domande in sospeso sono tante, troppe! Devo avere pazienza e rispettare i suoi tempi, anche se il mio futuro volge al fosco.

Ce la posso fare?

Futuro

Abbiamo appena finito di cenare. Siamo sole.

Mi guarda, ricambio e le dico: “sto pensando al futuro, sono un po’ preoccupata”.
Abbassa lo sguardo.

Provo a rilanciare che “lo so, non dovremmo preoccuparci del futuro – citando la parabola evangelica degli uccelli del cielo e dei gigli del campo [ndr. Matteo 6,25-34.] – ma non ci riesco”.
“Non conosco quella storia”.
Riassumo brevemente.
Silenzio.

Sì, lo so, forse la colpa è mia. Forse dovrei insistere. Affrontare l’argomento, andare avanti… forzare… ma avrebbe senso?

È il MIO punto di vista. Il DANNATAMENTE mio punto di vista. E qui non c’è contraddittorio: per quel che so continua a non leggere neanche una riga del mio blog.

Ma se qui non c’è contraddittorio a casa non c’è dialogo. Bisogna essere in due per un dialogo. E ogni mio tentativo finisce nel vuoto, in un imbarazzante silenzio.

Ci amiamo ancora?

Sono conscia delle mie condizioni, economiche e di salute. E lo è anche lei. Ma l’ultima cosa che vorrei è la pietà.

Lo so, le ho chiesto molto in questi anni. Troppo, decisamente troppo! Sia ben chiaro, anzi, sarò chiara: sono io la stronza. Io mi sono illusa potesse amarmi anche da donna. Io le ho rovinato la vita. Ma sono sempre stata sincera. Fin dal primo giorno. E sono passati diciassette anni, giorno più, giorno meno. Siamo insieme da ventidue anni e abbiamo un figlio da quasi venti.

Se potessi scegliere cancellerei tutto, riavvolgerei il nastro e riprenderei la mia vita, la nostra vita, così com’era: da felice coppia etero-normata.

Ma chi vive la mia condizione lo sa: non è una scelta, si può solo scegliere di negarsi e reprimersi. Insomma: qualcunə deve farsi male. Che brutta storia è l’amore, in questi casi.

Addio C3lla 😭

Mercoledì scorso, nel nubifragio che ha colpito la mia zona, la mia amata C3lla* è affogata in un avvallamento.

Inutile spingerla in secca – e devo ringraziare di cuore un operaio Econord per essere sceso sotto al diluvio per aiutarmi nell’ultimo tratto in salita, forse c’è un radar anche per queste situazioni.

Inutile la lunga agonia in terapia intensiva dal mio meccanico nella speranza che il danno non fosse irreversibile. Alla fine la sentenza: le bielle sono andate, il motore è bloccato, da buttare!
😭😭😭

Dopo una settimana di attesa e valutazioni stasera siamo andate per prenotare la nuova macchina. Qui, dove vivo io, non si può vivere senza.

Questo vorrà dire quattro anni di rate al limite del sostenibile, e la maxi-rata che per ora ignoro.

Questo, per la famiglia, vorrà dire tirare la cinghia per altri quattro anni, ma ci siamo abituate.

Questo, per me, vorrà dire addio alla logopedia per il mio vocione; addio all’elettrocoagulazione che servirebbe per completare il laser al volto, con cui fortunatamente ho (quasi) finito; addio al make-up grazie al quale ogni tanto mi parlano al femminile.

Niente più psicoterapia – sperando di non averne bisogno – e un taglio ad alcuni farmaci/integratori non dispensabili SSN, per non parlare di un paio di visite specialistiche di cui avrei necessità.
✂️✂️✂️

Detto questo so che c’è chi sta ben peggio di me, ma forse capite perché da quarantacinque anni sono convinta della necessità di un mondo migliore. Che non può nascere dal voto utile. Ecco, l’ho detto!
✊✊✊


* C3lla o Citrella, la nostra amata auto per oltre dodici anni. So che non ci si dovrebbe affezionare agli oggetti ma ne abbiamo passate così tante insieme…

Intervista

Oggi mi hanno intervistata. No, non un colloquio di lavoro – che servirebbe anche, eh! – ma una vera intervista giornalistica.

Un chiacchierata a domande e risposte che si sono inseguite per oltre un’ora…
Credo di non aver mai parlato così tanto, tanto meno di me.

Ovviamente vi farò sapere quando esce… nel frattempo mi sento quasi famosa! 🤭

Visita psichiatrica. (Sì, ancora!)

Oggi per me e molte altre persone che, come me, vent’anni fa eravamo a Genova è un giorno di sofferenza. Di grande sofferenza. Questo anniversario è anche tondo, il che lo fa rimbombare di più.

Non è questo il luogo, per quanto politico, per affrontare il ricordo di quei giorni. Da quel giorno, dopo aver respirato a lungo – direi gratuitamente – gas CS, i miei polmoni non sono stati più gli stessi, nonostante fumassi già da molti anni. Fra tutti i miei acciacchi, ora che sono in TOS e attendo l’operazione di riassegnazione chirurgica del sesso, i problemi di respirazione si fanno sentire sempre più e potranno essere problematici, se non ostativi.

La ferita più grave, di Genova, è però psicologica: in questo giorno, da vent’anni, soffro e piango ricordando. Oggi però ho anche la visita psichiatrica per la relazione richiesta dal tribunale.

Lo so da tempo, ma non vorrei che le mie emotività per questa giornata possano influire sulla mia valutazione.

La dottoressa l’ho già incontrata, in un’occasione che non mi piace ricordare ma mi ricordo di lei come figura positiva. Lei ovviamente non si ricordava di me, finché non ha visto le carte del PS che ho inserito nella varia documentazione che ho portato con me: ho già portato varie copie al CS ma una copia in più serve sempre. 😉

Non posso che confermare la mia impressione sulla dottoressa: gentilissima, disponibile, attenta, interessata, ascolta e chiede chiarimenti per ogni termine o situazione che non conosce. Da subito si è dichiarata senza conoscenze sulla disforia di genere e sulle transizioni. Ma, appunto, rimane allibita dal fatto che ci serva una diagnosi psichiatrica di disforia di genere per accedere al percorso: “voi non siete malati, perché dovremmo patologizzarvi?!”.

Fra di noi c’è uno schermo di plexiglas che evita che possa abbracciarla fisicamente, da parte mia e di tutto il movimento trans*. Resta comunque forte l’abbraccio virtuale che spero abbia letto nei miei occhi.

Quando poi le spiego l’evoluzione fra disturbo del DSM-IV, disforia del DSM-V e incongruenza dell’ICD-11, dopo aver apprezzato lo spostamento della nostra condizione nella salute sessuale mi ringrazia dicendomi: “lei ne sa ben più di me!”.

Nel frattempo segna, legge, scrive, domanda. Ma soprattutto, alla fine mi informa che dovrebbe avere tutte le informazioni per scrivere la relazione. In caso di incertezze mi chiede la disponibilità per essere contattata per integrazioni che ovviamente confermo con entusiasmo.