Imbarazzo! Cos’altro potrei provare?
Dopo tanti rinvii – il mio “problema” è nulla rispetto ad altri fatti in divenire nella famiglia – oggi doveva essere il giorno del coming out con i suoceri. La data era organizzata, apposta, da qualche giorno.
Fino a ieri sera la domanda era: F., nostro figlio, vuole esserci? E la risposta era positiva.
Stamattina M., mia moglie, appena mi sono svegliata mi domanda secca: “Ma tu quando vorresti dirglielo? Non prima di pranzo, vero?! Magari dopo. E F. preferirebbe non esserci, anzi forse è meglio che rimandiamo a quando ritornano da casa di mia sorella”.
Mia cognata, la sorella di M., sta affrontando una separazione molto conflittuale. Ripeto: i suoi problemi, almeno rispetto a i suoi genitori e sua sorella, rendono i miei invisibili, e anch’io sono preoccupata per lei (ogni tanto mi vien da dire “più di sua sorella”, ma so che non è così!).
Però sono mesi che rimando.
In realtà avrei preferito a dirlo a loro prima dei figli, almeno prima di loro nipote! Ma non mi sembrava corretto, rispetto ai figli, e ho continuato a rimandare.
Lo sanno già amici comuni, a cui ho chiesto il silenzio. Ma per quanto può durare?
Per quanto può durare il riferirmi a me come uomo? Già oggi mi sono accorta, almeno un paio di volte, di parlare al femminile: sono decisamente stufa di mentire al mondo, perché sono una donna!
Lo stesso conflitto si pone come problema con il lavoro che pare, forse, dicono… dovrebbe iniziare con il prossimo mese. Ma quello è “lavoro”, mentre con M., il nostro matrimonio; la nostra famiglia; i miei figli… è “Amore”.
Per lavoro indosserò una divisa e insieme ad essa un’identità, maschile, almeno finché non capiranno che valgo, indifferentemente dal genere sentito/percepito.
Stanotte forse mi sognerò in servizio, in gonna, spero non plissettata, perché odio stirarle!