Il grande freddo

Lo so, il mio problema è che sono trasparente come un vetro sottile.

Non riesco a mentire, non mi piace. E troppo spesso mi è capitato di dire cose che avrei fatto meglio a tacere. Amo la verità, e a volte fa male.

Se siete curios* su come sia finita la nottata: solo tanta nanna ma abbracciate. Sarà stato per l’effetto stufetta che faccio e che le è sempre piaciuto, sarà stato affetto… per me è stato stupendo e me lo sono goduto per tutta la notte.

Avrei potuto stare zitta, o limitarmi a dirle quanto abbia apprezzato l’aver passato la notte così. Al mattino presto, poi.

Ma il mio cuore era aperto, al vivo, e ho iniziato a vaneggiare sul futuro: che se mai avrò la vagina potremmo prendere un doppio fallo (o strap-on) e fare all’amore come Nomi e Amanita nella prima puntata di Sens8: lei con me, invece della dilatazione, e io con lei, se lo desidererà.

Il commento è stato il solito “si vedrà”, forse un po’ più spento. Forse molto più spento. Me ne sono accorta alla sera quando è tornata a casa. Stanca, fredda, nervosa. Distante.

La pillola

“Basta un poco di zucchero e la pillola va già”… No che non va giù!

Oggi ho passato la lunga pausa pranzo a piangere.
Messaggiando con M.

— Vorrei poter tornare indietro.
— Ma non si può, sarà quel che sarà. Ma sicuramente qualcosa cambierà.
— È già cambiata, purtroppo.
— Purtroppo o per fortuna: non è quello che senti di essere, una donna? E questo sicuramente ti porterà la felicità.
— Non senza di te. Starò bene nel mio corpo, Ma felice non credo.
— Io ci sarò sempre per te. Ma una nuova vita prevede sempre dei cambiamenti. Se stai bene con il tuo corpo starai bene anche nella vita.
— Lo so, non posso assolutamente chiedertelo. La tua amicizia sarà importante ma mi mancheranno l’affetto, le tue “bimbe”, le nostre coccole, il tuo corpo, la tua pelle…

Esiste una pillola, un trattamento, che mi possa portare indietro di quindici anni, in modo da prendermi a sberle quando ho indossato il mio primo reggiseno, e che mi faccia tornare l’uomo di cui si è innamorata, per poterci amare per sempre e oltre?

Scherzando, tempo fa le dissi di considerare la “Genderina plus”, la pillola che l’avrebbe resa lesbica – secondo la teoria gender – per vivere felici e contente.
Ora sto cercando la “DEgenderina extra” per smettere di essere transessuale e, per giunta, lesbica. Esiste?

Quando mi ha vista stasera – a pezzi – si è aperta ancora di più. Si è detta possibilista riguardo al futuro. Anche dal punto di vista sessuale.

Le ho fatto notare che ultimamente fa fatica anche a baciarmi sulle labbra e, a casa, mi ha baciata. E ancora.

Le ho chiesto “stasera facciamo l’amore”? “Vedremo”, la risposta.

L’orario della sveglia di domattina non incoraggia, ma credo sia meglio smettere di scrivere.

Buona notte!

Settima seduta psicologica

Mi è sembrata breve la seduta: io in anticipo, la doc un po’ in ritardo… ma forse la brevità percepita è solo relativa alla mole di sentimenti.

Tante cose da raccontare, e non tutte sono riuscita a tirarle fuori.

Le ho raccontato le mie mille crisi: che devo lavorare “da uomo”, che ho iniziato il percorso a Niguarda ma che devo rimandare di quarantacinque giorni, fino alla fine del periodo di prova – e non è molto d’accordo – e che M. mi ha chiesto di aspettare il rinnovo del contratto, sei mesi – assolutamente contraria –, che mi sono dovuta tagliare i capelli, su esplicita richiesta – perplessa e contrariata. E di quanto, lavorare e presentarmi da uomo, laceri la mia anima – un po’ me l’ha tirato fuori lei, ma l’ho sentita solidale.

Che ho dovuto ancora rimandare il coming out con i suoceri, per l’ennesima volta. Perché per M., ancora, non era il momento giusto.

Le ho raccontato della crisi quando la psichiatra del Niguarda mi ha fissato l’appuntamento di mercoledì, il giorno in cui faccio giornata e che non posso perdere: sì, ok, i permessi per visita medica sono obbligatori! Ma io sono ancora in periodo di prova, e chi glielo spiega che sono al centro per la sterilità? O, meglio, perché, effettivamente, lo frequento?

Non sono riuscita a dirle di F., di quanto lo senta lontano e distaccato, salvo quando dopo essere caduto in moto – senza conseguenze – ha abbracciato forte la mamma e, direi soprattutto, me! Gli ho chiesto, ancora una volta, visto che andavo là, se non volesse prendere un appuntamento anche lui. “No, adesso sto bene”. Non ne sono molto sicura ma spero vivamente sia così.

Risposta

Mi ha risposto, sempre per lettera: quanto è bello, per noi vecchiette, aprire un foglio di carta per leggerlo! Dovrei farlo più spesso.

Non la riporterò, non sarebbe giusto: è personale. Ma la cosa più importante è che dice di amarmi. (Nonostante tutto, aggiungo io).

Si è sentita ferita per la parte in cui l’accusavo(?) di pensare più al mio stipendio che al mio percorso.

Che sarà al mio fianco se lo voglio – certo che SÌ!!!

Spero ci possa essere un totale chiarimento. E che durino a lungo sia il lavoro che il nostro amore!

Lettera a mia moglie

Dopo la seconda litigata di ieri, ho presso carta e penna e ho iniziato a scrivere a mia moglie.
Questo il testo:

«M., Ti Amo. Ti amo da più di venti anni. Momenti più o meno belli ma non ho mai amato nessuna come te. Mai quanto te. E conto molti più che meno.

So che il mio “divenire” è difficile, non solo per me, ma anche per te e F.

E so, lo sento, che sta diventando sempre più difficile per voi (ma anche per me, perché lo sento, sento la sofferenza e non sono né indifferente né egoista, e almeno spero che questa sia anche la tua opinione).

In tutti questi anni ti ho sempre sentita vicina, molto vicina, quasi “complice” quando mi hai regalato il baby-doll (che io, da stronza, ho rifiutato vendendomi ridicola; perché ridicola mi sento, spesso, così come mi vede il mondo).

In ogni caso, ti ho sempre sentita al mio fianco, e di questo non posso che esserti grata, anche per questo – ma non solo – TI AMO.

Ma dall’inizio dell’anno, sa quando ho iniziato il percorso “clinico”, prendendo l’appuntamento al Niguarda, ho sentito, percepito, il tuo progressivo distacco.

Sei rimasta ancora al mio fianco, e lo ho apprezzato, lo apprezzo molto. Non sai quanto.

Ma più mi avvicino alla transizione e più ti sento lontana.

Ho cercato di proteggere F., e ho cercato di dirglielo nel migliore dei modi possibili. Sempre che ce ne sia uno “buono”. Mi dispiace di averlo ferito. E che dopo due mesi la ferita sia anche, forse, peggiorata.

Ha ferito me, però, il continuo rimandare a dichiararmi ai tuoi genitori.
Questa la colgo come un’ultima negazione del mio percorso.

Non sai quanto mi senta inutile, meno di una merda di cane, per non essere riuscita a trovare un lavoro in questi lunghi anni.

E sai, forse, quanto voglio tenere questo lavoro che non è “IL” lavoro ma “UN” lavoro, un lavoro che mi rende la dignità che ho perso da tanto tempo.

Nonostante gli insulti e il disprezzo che mi sento addosso quando passo. Non tutti, alcuni apprezzano, per fortuna.

Ma dopo quindici anni diventa sempre più difficile trattenermi.
Non sai quanto mi costa, ormai, indossare la divisa da uomo, e presentarmi, parlare come tale. Sempre con la paura di parlare al femminile, cosa che capita, mi capita, per quanto mi sforzi.

Te l’ho già detto: il mio “scoprirmi” donna lo sento come un tradimento nei tuoi confronti, visto che tu ti sei innamorata dell’uomo che vedevi (e, forse, ero).

Te l’ho già detto: ti amo, e amo F. e T. L’ultima cosa che vorrei e fare male a uno di voi. Spero mi crediate.

So di essere ingombrante, ormai, nella vostra vita, e cercherò di alleviarla.
Spero mi perdoniate, e soprattutto che comprendiate che non è una mia scelta: sono nata così.

Mi permetto un appunto, M.: ho passato tutto il pomeriggio a piangere dopo la nostra ultima litigata (sul mio “dover” lavorare, innanzitutto)… era proprio necessario rinvangare, tornate a casa con F., nel giorno del suo compleanno? Io avrei preferito torta e spumante. Ma tant’è. Tanto la stronza, quella “sbagliata” sono io.
Vi amo, Chiara.

Mi hai detto di non chiederti più niente, questa sera. E io di getto, lo stesso.
Non ti chiederò più niente, se non scusa per quello che sono. Per quello che questo ha comportato per te e F.

Sono ingombrante, sono un peso, sono un costo.
Spero di sollevarvi da tutto questo al più presto.
Con amore Chiara»

Ancora sei mesi?!

Oggi dovrebbe essere un giorno di festa. Per me, per mia moglie e per nostra figlio, che non è ancora tornato dalla festa per i suoi 18 anni.

Torno a casa dal lavoro, un po’ stanca, visto che mi sono svegliata alle sette, prima della sveglia per urgenza “bagno”.

Tutto bene e felice di essere a casa: domani sono di riposo e, forse riuscirò a dormire un po’ di più.

Poi parlando del lavoro e delle possibilità dello scambio turno con il collega ho detto a M. che, ben accettando il consiglio che ho avuto dallo sportello dell’Ascolto Attivo Arcobaleno di aspettare almeno i quarantacinque giorni del periodo di prova, e quindi di rimandare il prossimo accesso con la psichiatra del Niguarda.

Risposta: “Eh, ma non puoi aspettare il rinnovo del contratto?”.
Sei mesi. Centottanta giorni.

Lo so che ho aspettato quarant’anni per capire chi fossi, e altri quindici per arrivare fin qui. Quante volte ho spiegato che la mia evoluzione segue una curva esponenziale? Inutilmente, direi:
— Sono stanca di vivere in povertà!
— E io no? Non pensi che mi senta una merda per non essere riuscita a trovare un lavoro in quattro anni? Che non possa permettermi di comprare alcune medicine? Non pensi che mi senta in colpa, nei vostri confronti, per quello che sono?
— Ma sono (solo) sei mesi!
— Faccio già fatica ad aspettare quarantacinque giorni. Ma capisco di essere “io” il problema. Me ne devo andare? Non posso, ora. Ma tengo la macchina, se ne recuperi un’altra, e vado a dormirci dentro, se sono un problema me ne vado.
[silenzio]
— Lo so che stai cercando di evitare che succeda, ne sono sicura da quando non ho potuto dirlo ai tuoi, anche se era organizzato apposta. Ma non è una mia scelta: se potessi scegliere cancellerei tutto e tornerei a vivere da uomo.
[silenzio]

***

Tornate a casa, dopo aver ripulito la casa della festa, nuova litigata, con il figliolo presente, anche se nella sua camera, accanto, da dove ha sentito tutto.

Io speravo in una torta e un bicchiere di spumante, per festeggiare. Scusami F.
Ok, domani, forse, dormo.
Domani è un altro giorno, si vedrà (cit.)

Attenti: arriva la bionda!

Oggi, mentre stavo lavorando, in una zona periferica, sento un gruppo di uomini dirsi, ad alta voce, “Attenti che arriva la bionda!”.

Un’altra persona, che ha un negozio in zona e con cui io e il mio collega abbiamo brevemente discusso per lavoro, si avvicina e mi dice “Li hai sentiti? ‘Arriva la bionda’”, con un sorrisetto tiraschiaffi.

L’ho ignorato, scuotendo leggermente la testa. Il collega, che ha potuto sentire solo il gruppo, non ha detto niente.

Non so se l’appellativo me lo sia guadagnato con il nuovo taglio o se me l’avessero già dato con la coda lunga.

Bionda, son bionda. E se non fosse palese l’intento di scherno – ma ho imparato a farmi scivolare di dosso certi atteggiamenti – potrei quasi essere contenta di essere “LA bionda”.

E spero che dietro a quell’“attenti” ci sia un filo di timore – nel senso di rispetto – per quando finirà l’affiancamento, settimana prossima, e farò il mio giro da sola.

Addio mamma. Addio coda.

Oggi c’è stata l’esumazione dei resti di mia madre.
Avrei potuto evitare ma ho assistito. È stato pesantissimo, mi è mancato il respiro e, tanto per cambiare, ho dovuto soffocare le lacrime.
Lo so che è solo quello che resta del suo corpo, che non è lei, che lei continua a vivere dentro di me, ma nonostante il dolore nel vedere le sue ossa ho potuto salutare un’ultima volta: dalla cassettina in cui l’hanno composta non uscirà più.

Ho approfittato dell’occasione per fare coming out con mio fratello. Non si era accorto di niente, salvo qualche traccia di trucco e la borsa ma secondo lui io sono “sempre stata un po’ stravagante”, da adulta come in adolescenza, e lo attribuiva al mio anticonformismo.
Comunque l’ha presa bene: ritiene che ognuno debba avere il diritto di vivere come si sente nel modo in cui ritiene di farlo. E mi ha pure augurato il meglio, per il momento così “difficile e importante” per me. Non me lo aspettavo così aperto. Meglio così, anche se non è che mi interessi più di tanto – o niente – mantenere i rapporti. Sì, l’avevo promesso alla mamma. Ed è solo per rispetto a lei che gli parlo ancora.

Oggi mi sono anche comperata il mio primo fondotinta, seguendo un consiglio di qualche settimana fa sul gruppo Informa Trans Italia. Ora devo solo imparare a usarlo. E capire cos’è la base arancione che dovrebbe coprire il nero della barba e su cui poi applicare il fondotinta.
Nessuno mi ha mai insegnato come ci si trucca. Sono troppo vecchia per guardare i tutorial di make-up su youtube?

hair style - stile di capelliE sempre oggi sono andata dal parrucchiere, foto alla mano ho chiesto un taglio simile. Hanno fatto qualche commento in cinese – che non ho capito forse fortunatamente – poi, Il mio nuovo lookdopo aver verificato il costo, accessibile, mi ha fatta sedere e zac-zac-zac: addio bella coda, benvenuto nuovo look! Sì, mi piaccio! Il taglio è decisamente femminile, o almeno così pare a me. Piacerà anche al lavoro? Fra poco lo scoprirò.

To be (fired), or not to be (cared for)?

Lo so cos’è il (NON-)lavoro, sono stata senza lavoro da 4 anni. Quattro! Ed è dura!
Ma nel nuovo lavoro il mio turno fondamentale è il mercoledì (mattina e pomeriggio) e il mercoledì è l’unico in cui riceve la psichiatra che potrebbe dare l’approvazione alla TOS etc.

E se nei prossimi giorni non inventano il teletrasporto – il Nobel per la Fisica è appena stato assegnato per l’esplorazione cosmologica degli esopianeti – dal lavoro a Niguarda ci vogliono due ore e mezza per andare e altrettante per tornare, sempre che si incastrino gli orari.

Sono anche l’ultima arrivata, in prova, e a termine.
Nessun potere contrattuale.
Se anche potessi provare a chiedere il mercoledì libero, dovrei motivarlo: “Aha! Sono una donna, ma valgo anche più di un uomo: mi tenete lo stesso?”.
Funziona?

***

Pensavo di indagare, oggi, sui permessi di lavoro al mercoledì, almeno con il collega, ma ho preferito aspettare: ho bisogno di riflettere e analizzare la situazione con più calma e freddezza.

Day hospital (you made my day)

Sveglia alle quattro. Forse un po’ presto, ma non troppo: verrei arrivare là “bella” – si fa per dire – e per restaurarmi ci vuole un bel po’ di tempo, con la mia faccia e con la mia età.

Treno alle sei. Stazione buia e deserta, anche perché sono arrivata in anticipo, molto in anticipo, come al solito. Cuore che batte pesante: perché questo è un giorno importante, perché questo è l’esame di maturità due-punto-zero, perché sono al buio, truccata forse un po’ più del solito, sola, quasi al buio.

Arrivano gli habituée del pendolarismo, trattengo il fiato: non mi considerano, parlano fra di loro. Salva!

Non posso obliterare il biglietto – nessuna macchinetta funziona – quindi mi posizione in testa, per cercare il capotreno, per poi vederlo scendere dall’ultima vettura. Attraverso il treno per raggiungerlo, porgo il biglietto per la convalida, salutandolo, e compila a penna – quello che avrei potuto fare anch’io, ma per regolamento “non si fa!” – ricambiando il saluto.

Le due ragazze che stava controllando – o broccolando?: giovani, carine, bagagli da vacanza e relativa faccia stampata – mentre il capotreno “convalida” il mio biglietto mi sorridono.

OK, poteva essere di scherno, ci sta, ma non posso essere sempre paranoica: ogni tanto qualcun@ “non mi odia”, e ogni tanto qualcun@ potrebbe apprezzarmi – amarmi no, non ricambierei: “il mio cuore appartiene ad un’altra persona”, citando, più o meno, Lito in Sens8 – e mi sembra, qualche volta, di cogliere solidarietà dal genere femminile.

— cambio scena —

Arrivata all’ospedale, accettazione, registrazione al DH, esamoni del sangue e una lunga attesa: da leggere ne avevo!

E tutto bene fino alla visita psichiatrica… e anche per la visita psichiatrica, salvo il finale: il nuovo appuntamento!

Ci saranno vari incontri, mi spiega, e poi al termine delle sedute sarà lei a indicare al responsabile del centro per poter proseguire con la terapia. Peccato che la psichiatra sia disponibile solo di mercoledì, e che il mercoledì sia proprio l’unico giorno in cui io non dovrei mai mancare dal lavoro e, anzi, nel part-time.

E mo’, che faccio?
Rinuncio al lavoro?
O rinuncio a me stessa?

Ho mantenuto un minimo di dignità fino all’uscita dal padiglione, poi sono scoppiata a piangere.

Inoltre, per il lavoro dovrei tagliarmi i capelli: me l’hanno chiesto esplicitamente. Che faccio? Uso il taglio che avevo in mente? Risolverà il problema? O tiro fuori la macchinetta e li offro alla Campagna Diamoci un Taglio per la donazione di parrucche oncologiche?

L’ultima soluzione sarebbe quella più etica, ma poi riuscirei a guardarmi allo specchio, che già…