Dolcetto o scherzetto?

Ieri sera quando va a dormire le chiedo “se vengo anch’io…”, con gli occhi dolci, “No”, la risposta secca.
Quando più tardi la raggiungo provo ad avvicinarmi, mi respinge. Riprovo più tardi nella notte e mi allontana di nuovo. Lo stesso verso la mattina.

Stanotte il pargolo dorme fuori e saremo sole. Avrò speranze?
Mi merito un dolcetto o sarà scherzetto?

Energia delle coccole

Stanotte, per tutta la notte fino quasi al risveglio, abbiamo dormito ancora appiccicate, a volte mano nella mano, a volte la mia mano su di lei, a volte tutti e due i corpi aderenti, a volte anche solo le gambe. Pelle a pelle.

Forse dormo poco quando, visto che mi godo ogni istante del contatto, temendo possa finire da un momento all’altro. Ma mi riposo più di un sonno totale.
Mi ripeterò ma quando siamo così sento scorrere energia – e amore – è una sensazione stupenda, piacevolissima, quasi elettrica. “Frzssstrrrfsfsztrrrfffssszzz!” le spiego al mattino per descriverla – in stile forse troppo Futurista – mentre la ringrazio e mi guarda ridendo con gli occhi sbarrati come fossi un po’ matta – o forse lo sono del tutto!

Forse ho esagerato come al solito. Devo rallentare, lasciarle più spazio e fare meno pressione. Forse chiedo troppo e forse sono troppo innamorata. Forse uso troppi forse.

***

Alla sera mi tiene a distanza. Mi bacia, sì, ma uno solo e quando provo con il secondo mi allontana con le mani. Messaggio ricevuto: posso cancellare tutti i “forse” dalla frase precedente.

Ottava seduta psicologica

Ho saltato qualche giorno ma non c’era molto da dire. Giorni tranquilli, abbastanza sereni. Mi bacia, posso accarezzarla. Di notte dormiamo vicine, con contatto di mano o gambe… e la sento, sento fluire energia, amore, sensazioni: finché siamo a contatto forse dormo poco, per godermi il momento, ma è così bello, rilassante, riposante!

Ieri notte mi ha cacciata, ma credo solo perché le mie mani, per quanto calde possono esserle sembrate fredde dopo un’ora sotto il piumino. E stamattina mi ha svegliata con un bacio. ❤❤❤

Alla psicologa ho chiesto prima di tutto informazioni sulla terapia famigliare consigliata dalla dottoressa di M. per lei, me e F., che dovrebbe essere fornita sempre dal CPS di Laveno. In realtà è fornita assistenza psicologica del Consultorio familiare che comunque consiglia per me e M., non per F., salvo non lo ritengano necessario al Consultorio. Per lui, come anche per M., ritiene più utile una terapia individuale.

Poi le ho raccontato il vortice di eventi di queste due settimane. Il profondo dolore, le gioie, le ansie e la serenità.

Parlando dei suoceri mi è scappato un maschile e mi ha fulminata con un lapsus. Crede sia il desiderio inconscio di nascondermi da loro ma, non creduta, ho cercato di spiegarle che mi sto sforzando a parlare al maschile per il lavoro – dove ogni tanto mi sbaglio, al femminile, e anche a lei ogni tanto scappa il maschile quando si rivolge a me –, di quante volte sia andata a pranzo da loro ostentando anche eccessivamente il mio abbigliamento femminile, per farmi capire – o scoprire? – e che avrei anche voluto dirlo quasi prima a loro che ai figli.
In realtà anche a casa cerco di parlare il più neutro possibile, non mi trucco da giorni, non metto gli orecchini. Direi che cerco di avere un profilo “femminile” molto basso. Perché se la mia femminilità ostentata è un problema posso farne a meno o limitarla. Questa sì può essere una mia scelta: non ho bisogno di “mostrare” al mondo chi sono. E se questo può, anche solo forse, anche solo un poco, riavvicinare M., allora è una scelta facile.

Prossima seduta al 26 novembre, dopo la psichiatra del Niguarda. Salvo urgenze. Spero di no, grazie per la disponibilità!

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Ho ragguagliato M. sul consultorio, forse pressandola un po’ troppo. Come al solito ci deve pensare, e prende tempo. Come al solito spingo troppo, con il risultato – contrario – di metterla sulla difensiva: non è il termine giusto, ma più io accelero e più lei frena. Devo imparare a frenare prima io, a rispettare i suoi tempi. Devo imparare, posso farcela. Devo farcela!

Me lo sono perso!

Sento che si alza, spero torni a letto dopo la pipì, sono circa le 8.30. Non torna e mi riaddormento per un’altra mezz’ora.

La trovo in sala e le chiedo se le va di tornare a letto con me. “No”, con un’espressione che io leggo: “lo sai che con le donne…”. Ma devo anche competere con le semifinali dei mondiali di rugby.

Torno a letto, da sola, a piangere, cercando di farmi forza. Considero di farmi qualche coccola da sola ma non mi va proprio. Le coccole ormai me le faccio solo io, e quando sono da sola. Da anni M. è solo passiva – a parte qualche bacio, carezze e abbracci – ma a me va bene anche così.

Entra in camera ma è solo per prendere i vestiti, almeno credo. Sto ancora piangendo, non voglio farmi vedere così e faccio finta di dormire.

Riesco a riprendermi e finalmente mi alzo. Quando torno in soggiorno mi sorride dicendomi: “Sai che stanotte ci siamo tenute la mano per tutto il tempo?”.
No che non lo so! Sono andata a letto che lei dormiva profondamente ed eravamo ai lati estremi del letto, schiena a schiena. Nella stessa posizione mi sono svegliata al mattino, quando stava per alzarsi.

Me lo sono perso!!! 😭😭😭

Non posso credere che se lo sia inventato per farmi stare bene quindi dovevo essere troppo stordita per accorgermene: bevo troppo, soprattutto in questo mese, e l’alcool non dovrei neanche toccarlo. Devo smettere! Ma sto troppo male in questo periodo, e il fatto che “beva” mi fa stare anche peggio. E quanto sono vicina a riprendere a fumare! Per fortuna non ho i soldi per farlo.

***

Oggi pomeriggio lavoro da sola, quattro ore, l’idea delle nostre mani intrecciate mi sarà di grande aiuto. Spero che basti.

Oggi non ho pianto

La giornata è passata tranquilla, direi serena. Quando, alla sera vado a prendere M. in stazione, le dico, orgogliosa, che oggi non ho pianto neanche una volta.

“E ci mancherebbe!” mi suona un po’ come un rimprovero, per quanto bonario, mentre mi aspettavo un incoraggiamento. Potessi controllarmi! E la ringrazio di avermi permesso di toccarla stanotte.

Mi rendo anche conto che non mi ha ancora baciata, glielo faccio notare, non dice niente, scocciata.

È molto stanca – oggi non avrebbe neanche dovuto lavorare – e dopo cena si addormenta subito davanti alla tv. Quando va a letto le chiedo se domattina le andrebbe di farci qualche coccola. Lo so, le avevo promesso di non chiederglielo più e di attendere che fosse lei a proporlo… ma non ce la faccio 😍! E domattina saremo sole, con il pargolo a scuola. E so che quando c’è lui in casa, per quanto dorma, non lo vuole mai fare, già da anni. La risposta è la solita: “vedremo”!

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Resto agitata, per quanto speranzosa. No oggi non devo piangere! Ma passata la mezzanotte non è più “oggi”… e sistemando il blog, rileggendo i commenti di Yvan e Clara, ricomincio a piangere. Vado a letto che sono quasi le 3 di mattina.

Buonanotte!

Riposo

Oggi non lavoro. Già, dopo aver passato gli ultimi vent’anni circa a lottare contro il lavoro domenicale – degli altri – inutile, a parte il reparto emergenze e, ahiloro, turistico, dopo aver rinunciato per un paio di volte a lavori piuttosto remunerativi per restare vicina alla famiglia, – ammetto che c’era anche un notevole peso del pendolarismo, ma non ci si può alzare alle 6 per tornare alle 21, incontrando volti offuscati, baciando i figli nel sonno – ora che finalmente sono tornata a lavorare, lavorerò ogni sabato e domenica e tutti i festivi. In particolare nei periodi in cui la gente va in ferie. Devo avere un Kharma orribile.

Ecco oggi sono di riposo: lunedì e giovedì non lavoro. Voi avete il Sunday Blues. Io ho il Monday Blues.

Quando non ho la mente impegnata, penso. Quando penso penso a M., F. e T. La mia famiglia. Il mio amore e i miei figli.

Solo che mia moglie non vuole più essere toccata da me, perché la disgusto. Così è, da un giorno all’altro, solo perché si è accorta che sono donna, dopo che sono quindici anni che glielo dico e che lo sa. Solo perché ho avuto un lavoro – che un caro amico ha definito “di merda” – lavoro di cui, peraltro, non potremmo farne a meno ma che le ha mostrato la mia sofferenza al doverlo svolgere come l’uomo che risulta dai documenti della persona che hanno assunto.

Penso e capisco di aver causato tanta sofferenza. Penso e sento la mia sofferenza. E piango. Piango. Piango. Piango. Mi verranno gli occhi belli?

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Vado dal dottore per il carico di medicine e perché ultimamente mi riempio di lividi, senza botte, sono troppo scoagulata? Decisamente sì! Esami del sangue urgenti. Ma è quando, appena entrata, mi chiede “come va?” che scoppio a piangere, scusandomi, per spiegare il più sinteticamente possibile la situazione. Capisce e mi sostiene. E sono più che mai contenta che sia il mio medico.

Ma capisco anche che questi lividi, questi versamenti, saranno un ulteriore problema per la tos. E indovinate un po’ cosa ho fatto, vergognandomi, anche uscendo per la sala d’attesa e fino a casa, mantenendo un certo contegno – spero – nella sosta in farmacia, affollatissima?

Quanto meno porto a casa anche la prescrizione per la nuova visita ginecologica al Niguarda, e non mi ha neanche sgridata per non essermela fatta fare dallo specialista. Chiamo subito per prenotare: prima data disponibile 6 maggio 2020, ovviamente di mercoledì. 😱 Pazienza, lo so, ci vuole pazienza: ma sono più di sette mesi!

***

Torna da scuola mio figlio e, contrariamente al solito silenzio, a tavola chiacchiera un po’. Contrariamente al solito non scatta appena svuotato il piatto ma resta a tavola con me, che mastico più lentamente – o meno voracemente.

Il cuore si gonfia e le lacrime si asciugano. Anche se poco dopo mi chiede se posso aiutarlo con i compiti – sa che sono sempre disponibile, anche se oggi avevo programmato di sistemare e fare l’orlo ai pantaloni della divisa… sarà per stasera – e poi mi chiede quando lo iscriviamo per la patente.

Io forse sono un po’ – “Troppo!” dice M. – paranoica, ma è sempre quando F. ha bisogno di qualcosa che è così dolce. Ma ogni sprazzo di amore è benvenuto!

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Sono riuscita a piangere ancora un po’. Poco, c’era poco tempo: dopo gli esercizi per la verifica di matematica e prima di correre in stazione a prendere M. dovevo stirare la camicia e fare l’orlo ai nuovi pantaloni della divisa.

Quando l’ho vista le ho raccontato il mio disagio. Quanto sia stato doloroso per me questo suo repentino cambio di approccio al mio essere donna. Quanto la amo. E quanto soffro per aver causato così tanta sofferenza a lei – dice di no –, a F. – ? –, ai suoi genitori – “devono ancora assorbire il colpo” –, e a tutti gli altri. Quanto mi dispiaccia averlo fatto, perché sono “così”.

Ho insistito, anche quando siamo rientrate in casa – forse non dovevo, e non so quanto F. abbia colto, credo fosse in cuffia, come al solito, ma forse sono stata troppo insistente anche con M. – su quanto mi abbia turbata, anzi distrutta, il passare al “non desidero” al “mi disgusta”: la prima prevede una possibilità futura, la seconda nega quasi anche il passato.

Ho insistito anche sul fatto che il mio corpo è lo stesso, – aggiungo qui: chilo più, chilo meno … più, più – stesse le mani, la bocca, la pelle, la mente…

Le ho confessato che tutto quello che vorrei è poter fondere in nostri corpi, in un modo o nell’altro, da sentirci un essere unico, come siamo riuscite a fare per tanti anni. E di poterla amare e poterla sentire, ma anche a “pelle”.

Ho insistito e ho ottenuto qualche bacio, abbraccio, e il poterle stare vicina, stanotte, almeno con una mano, un dito. Sentirla. La sua energia. Forse gliel’ho rubata, forse gliel’ho data. O forse è solo circolata.

Non ho molte vie di uscita, forse una sola, forse neanche quella

Fra gli alti e i bassi, ieri credo di essere arrivata al fondo: negli anni, nel mio rapporto con mia moglie sono passata da un grande amore etero – il “grande amore” rimane costante – a un bozzolo di consapevolezza in cui pensavo – sbagliandomi – potessero piacerle anche le donne; alla consapevolezza che cresce – come il mio piccolo seno – bilanciandomi nei ruoli e ricevendo da lei regali di intimo, anche sexy, decisamente femminile; al recitare, nell’amplesso, che fossi io a riceverlo; al riconoscimento del mio ruolo femminile, almeno – e non è poco! – nel linguaggio; all’accettarmi, pienamente e con gradimento, salvo fingesse e per quanto passivamente, nei rapporti come donna-donna, per molti anni.

Da tutto questo a dirmi che ora sono donna e a lei darebbe fastidio, disgusto, toccare e farlo con una donna… forse mi sono persa un passaggio, forse due, forse ho perso la via d’uscita.

Non credete che sia diverso il “non desiderare di farlo”, il “non considerare di farlo”, il “non pensare che possa succedere”… dal “disgusto al pensiero di farlo”. Dopo quindici anni che conosce chi sono dentro questo guscio, ormai troppo stretto per richiuderlo?

Pubblicato il titolo di questo articolo sul libro delle facce, ricevo commenti di affetto da Yvan e Clara che considero amici, insieme a Marco, ben oltre il loro ruolo nel gruppo AMA di Arcigay Varese. E così rispondo a Yvan:

«… Sono così innamorata di mia moglie, amore che mi sta crescendo ed esplodendo nel petto, manco fosse – o forse più – una cotta da quindicenne elevata ai 55 anni che ho. Ma non sai quanto sia contenta di averti come amico.

È che da quando ho iniziato a lavorare (benedizione e salvezza, sperando che duri!) si sono scatenati eventi in crescendo: Il dover tornare al ruolo maschile, il taglio dei capelli, mia moglie che quando ne ha percepito la sofferenza si è accorta che, ops, io sono una donna, definitivamente, e lei è etero, decisamente. Non è assolutamente omofobica, anzi, ma non conoscendo un termine adatto forgerei, se già non esiste, “omodisforica”, nel senso che si sentirebbe in profondo disagio, se non un disgusto, in un rapporto intimo con la donna in cui ormai mi riconosce, definitivamente, dopo quindici anni.

E io sono attratta da lei, dal suo corpo, dal suo cervello, dalla sua personalità, dal suo “essere”, come una super calamita alla Wile E. Coyote. Forse mi ripeto ma non ho mai amato nessuna come lei, in qualità e intensità.

Così tanto dal chiedermi se possano funzionare le teorie riparative o di conversione per tornare a vent’anni fa. Se non esista veramente la scelta fra pillola rossa o pillola blu. (Cit. Wachowski, sic!).

Questo accettarmi-dichiararmi-nascondermi-negarmi mi sta trascinando in un vortice tra la schizofrenia e il bipolarismo. E, giustappunto, ho rimandato l’appuntamento con la psichiatra del Niguarda di due settimane, perché non ci sarei potuta andare prima, per il nuovo lavoro.»

Niguarda: l’ecografia

Altra levataccia per raggiungere il Niguarda di prima mattina. Ecografia addominale. Sono so esattamente a cosa serva ma in uno screening generale (una volta lo chiamavamo check-up, prima ancora controllo generale…) ci sta.* Il buffo è che più tardi il mio collega – ero in turno congiunto nel pomeriggio con il mio coordinatore – ha associato “ecografia” a “controllo del nascituro”… e ho risposto “cresce bene!”. 😉
Tutto bene, mi dice la dottoressa: quello che c’era dagli esami precedenti è stabile. Sollievo!
Forse perché a Milano, forse in quell’ospedale, forse perché sapevano da che reparto arrivavo, ma il presentarmi al femminile – al di là del nome, che sui documenti rimane – spogliandomi al reggiseno, senza neanche veder vibrare un sopracciglio mi fa sentire accettata.
Riconsegnata la cartella clinica – ero ancora, ufficialmente, in day hospital – ho scoperto che per sapere cosa succederà alla prossima puntata devo farmi fare un’altra prescrizione dal mio medico per una nuova visita. Cosa che avrebbe dovuto fare lo specialista, ma tant’è. Spero.
Nel frattempo riesco a rimandare di due settimane la strizzacervelli, il che mi permette di superare il periodo di prova e organizzarmi con il collega per il cambio dei turni.

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* Dopo aver letto “La ragazza danese” (David Ebershoff, The danish girl) quando faccio quegli esami un po’ spero mi trovino tracce di ovaie e/o di cromosomi che sostengano razionalmente il mio essere.

Adolescente?

Ieri notte è andata benissimo, il che mi rinfranca.

Ma ho sempre un goblin sulle spalle e un gremlin nel petto. Pronti a colpire: fra il dover lavorare da uomo e l’essere rifiutata da donna, fisicamente anche se non sentimentalmente, ogni tanto si accende il buio.

Sulla seconda ci stiamo lavorando. Sono ottimista. I miei occhi, la mia pelle, le mie labbra e le mie mani saranno sempre le stesse. Il mio vecchio cuore malandato anche. E anche il mio cervello, i miei pensieri e tutto il mio amore, che forse sta anche crescendo, rinascendo, e ultimamente mi sento come una ragazzina alla sua prima cotta fatale.

E forse mi comporto come una ragazzina. In fondo sono circa quindici anni che mi sono scoperta, accettata, come donna in divenire: già, un’adolescente!

Come vorrei non aver aspettato così tanto, anche se non rinnego niente del mio passato sentimentale né l’aver voluto i miei due figli, che comunque sono arrivati prima della mia coscienza femminile – e quanto vorrei essere mamma, a parte, forse, il momento del parto. Ma anche il parto fa parte dell’essere mamma, e sì, vorrei aver provato anche quello.

So ancora chi sono? E piango!

Anche stamattina era fredda, faccia scura, distaccata. Nervosa. Per tutta la notte sono rimasta al bordo del letto, non osando avvicinarmi.

Aspetto, ragiono, chiedo in genere come va, come mai è così: le solite preoccupazioni sui soldi, sulle mille cose da fare e il tempo che manca. Non sono per niente convinta e, tornate a casa dal mercato inizio a parlare.

— Sento che ti stai nuovamente allontanando. Ti ho disturbata con il discorso sul doppio fallo? Sai vero che non era una richiesta definitiva ma solo una possibilità, se mai ti andrà di farlo? So che dovrei imparare a stare zitta e tenermi un po di cose per me.
— È che, lo sai, non mai fatto sogni erotici con altre donne. Anzi se fossero entrate nei sogni, mi sarebbe proprio passata la voglia. Il pensiero di farlo con una donna mi… disgusta. E quando sei tornata a casa disperata perché al lavoro ti avevano chiesto di tagliarti i capelli, quando ti ho vista in crisi, quando ho capito la tua sofferenza nel presentarti al lavoro da uomo ho capito che sei donna. Donna! E io finora, per quanto lo sapessi, forse ho continuato a vederti come l’uomo di cui mi sono innamorata. Ma ora vedo solo la donna che sei diventata. E io non sono attratta dalle donne, non sono lesbica.
— Ma, se… Ora ho bisogno di mostrarmi come donna, perché ancora non lo sono, non completamente. Quando sentirò di esserlo davvero non avrò più bisogno di mostrarlo, di truccarmi, di cercare di femminilizzarmi. Lo sarei comunque, per me. Potrei essere più mascolina e… magari potrei piacerti ancora?!
— Non lo so.

Seguono lacrime, mie, sospiri, qualche carezza e qualche bacio. Gliene chiedo uno bello. Me ne concede due. Poi si ritira.
— Ti dà fastidio?
— Sì!
— Ma sono le stesse labbra di sempre…
— Lo so, ma…

Tempo di preparare il pranzo e poi di andare al lavoro, per me.
Per fortuna quando sono con il collega o ho da fare mi distraggo. In tutti gli altri momenti, appena penso a M. – e a F. – mi viene da piangere.

Al ritorno M. mi aggiorna sulla giornata: doveva andare dalla sua dottoressa per un controllo e sapevo le avrebbe parlato di noi e del problema con F., le ha consigliato una terapia di famiglia, che forse fanno anche al CPS di Laveno.

Passando anche dai suoi genitori, mi aveva chiesto se poteva parlargliene e ovviamente le ho detto di sì: ho rimandato troppe volte e ora, lavorando sabato e domenica, non so quando ne avrò ancora modo.

Ne sono rimasti molto sorpresi – io pensavo che almeno mia suocera si fosse accorta di qualcosa – e piuttosto sconvolti, soprattutto preoccupati per la figliola, la seconda con “problemi” con il marito.

Tanto per cambiare, sono scoppiata nuovamente a piangere e credo di aver scoperto cosa sia un attacco di panico.

Ma quanta sofferenza ho causato? Quanto male sto facendo alle persone che amo?

M. mi dice che non è vero che ho fatto soffrire tutti. Che mio fratello e tanti altri l’hanno presa bene. Ma, rispondo, le persone che amo e cui tengo veramente no! Ribatte che lei ha avuto dieci anni per abituarsi – quindici in realtà – e che a gli altri serve ancora un po’ di tempo.

Quale che sia l’evoluzione io soffrirò: per quello che sono, non sono, sarò o non sarò; per l’amore che perderò; per – last but not least, direbbero gli inglesi – le sofferenze che ho causato.

L’ho già detto, credo, anche se forse solo a M.: vorrei poter tornare indietro, di quindici anni, e prendermi a sberle per aver indossato il primo reggiseno.
Vorrei che tutto questo fosse causato da una psicosi e che bastasse qualche pillola, anche qualche scossettina, per riportarmi alla realtà. Poter chiedere scusa – sempre che possano essere accettate – e tornare nel mio ruolo di genere, di maschio etero-normato.
Ma credo siano molto più psicotiche quest’ultima frase e la teoria del gender, e anche tutto questo mio continuo piangere.

Lo so, non si può avere tutto. Ma sento di essere sull’orlo di perdere tutto per non ottenere niente.