Oggi non lavoro. Già, dopo aver passato gli ultimi vent’anni circa a lottare contro il lavoro domenicale – degli altri – inutile, a parte il reparto emergenze e, ahiloro, turistico, dopo aver rinunciato per un paio di volte a lavori piuttosto remunerativi per restare vicina alla famiglia, – ammetto che c’era anche un notevole peso del pendolarismo, ma non ci si può alzare alle 6 per tornare alle 21, incontrando volti offuscati, baciando i figli nel sonno – ora che finalmente sono tornata a lavorare, lavorerò ogni sabato e domenica e tutti i festivi. In particolare nei periodi in cui la gente va in ferie. Devo avere un Kharma orribile.
Ecco oggi sono di riposo: lunedì e giovedì non lavoro. Voi avete il Sunday Blues. Io ho il Monday Blues.
Quando non ho la mente impegnata, penso. Quando penso penso a M., F. e T. La mia famiglia. Il mio amore e i miei figli.
Solo che mia moglie non vuole più essere toccata da me, perché la disgusto. Così è, da un giorno all’altro, solo perché si è accorta che sono donna, dopo che sono quindici anni che glielo dico e che lo sa. Solo perché ho avuto un lavoro – che un caro amico ha definito “di merda” – lavoro di cui, peraltro, non potremmo farne a meno ma che le ha mostrato la mia sofferenza al doverlo svolgere come l’uomo che risulta dai documenti della persona che hanno assunto.
Penso e capisco di aver causato tanta sofferenza. Penso e sento la mia sofferenza. E piango. Piango. Piango. Piango. Mi verranno gli occhi belli?
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Vado dal dottore per il carico di medicine e perché ultimamente mi riempio di lividi, senza botte, sono troppo scoagulata? Decisamente sì! Esami del sangue urgenti. Ma è quando, appena entrata, mi chiede “come va?” che scoppio a piangere, scusandomi, per spiegare il più sinteticamente possibile la situazione. Capisce e mi sostiene. E sono più che mai contenta che sia il mio medico.
Ma capisco anche che questi lividi, questi versamenti, saranno un ulteriore problema per la tos. E indovinate un po’ cosa ho fatto, vergognandomi, anche uscendo per la sala d’attesa e fino a casa, mantenendo un certo contegno – spero – nella sosta in farmacia, affollatissima?
Quanto meno porto a casa anche la prescrizione per la nuova visita ginecologica al Niguarda, e non mi ha neanche sgridata per non essermela fatta fare dallo specialista. Chiamo subito per prenotare: prima data disponibile 6 maggio 2020, ovviamente di mercoledì. 😱 Pazienza, lo so, ci vuole pazienza: ma sono più di sette mesi!
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Torna da scuola mio figlio e, contrariamente al solito silenzio, a tavola chiacchiera un po’. Contrariamente al solito non scatta appena svuotato il piatto ma resta a tavola con me, che mastico più lentamente – o meno voracemente.
Il cuore si gonfia e le lacrime si asciugano. Anche se poco dopo mi chiede se posso aiutarlo con i compiti – sa che sono sempre disponibile, anche se oggi avevo programmato di sistemare e fare l’orlo ai pantaloni della divisa… sarà per stasera – e poi mi chiede quando lo iscriviamo per la patente.
Io forse sono un po’ – “Troppo!” dice M. – paranoica, ma è sempre quando F. ha bisogno di qualcosa che è così dolce. Ma ogni sprazzo di amore è benvenuto!
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Sono riuscita a piangere ancora un po’. Poco, c’era poco tempo: dopo gli esercizi per la verifica di matematica e prima di correre in stazione a prendere M. dovevo stirare la camicia e fare l’orlo ai nuovi pantaloni della divisa.
Quando l’ho vista le ho raccontato il mio disagio. Quanto sia stato doloroso per me questo suo repentino cambio di approccio al mio essere donna. Quanto la amo. E quanto soffro per aver causato così tanta sofferenza a lei – dice di no –, a F. – ? –, ai suoi genitori – “devono ancora assorbire il colpo” –, e a tutti gli altri. Quanto mi dispiaccia averlo fatto, perché sono “così”.
Ho insistito, anche quando siamo rientrate in casa – forse non dovevo, e non so quanto F. abbia colto, credo fosse in cuffia, come al solito, ma forse sono stata troppo insistente anche con M. – su quanto mi abbia turbata, anzi distrutta, il passare al “non desidero” al “mi disgusta”: la prima prevede una possibilità futura, la seconda nega quasi anche il passato.
Ho insistito anche sul fatto che il mio corpo è lo stesso, – aggiungo qui: chilo più, chilo meno … più, più – stesse le mani, la bocca, la pelle, la mente…
Le ho confessato che tutto quello che vorrei è poter fondere in nostri corpi, in un modo o nell’altro, da sentirci un essere unico, come siamo riuscite a fare per tanti anni. E di poterla amare e poterla sentire, ma anche a “pelle”.
Ho insistito e ho ottenuto qualche bacio, abbraccio, e il poterle stare vicina, stanotte, almeno con una mano, un dito. Sentirla. La sua energia. Forse gliel’ho rubata, forse gliel’ho data. O forse è solo circolata.